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Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Giovanni

 (Gv 18,1- 19,42)

– Catturarono Gesù e lo legarono
In quel tempo, Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, dove c’era un giardino, nel quale entrò con i suoi discepoli. Anche Giuda, il traditore, conosceva quel luogo, perché Gesù spesso si era trovato là con i suoi discepoli. Giuda dunque vi andò, dopo aver preso un gruppo di soldati e alcune guardie fornite dai capi dei sacerdoti e dai farisei, con lanterne, fiaccole e armi. Gesù allora, sapendo tutto quello che doveva accadergli, si fece innanzi e disse loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù, il Nazareno». Disse loro Gesù: «Sono io!». Vi era con loro anche Giuda, il traditore. Appena disse loro «Sono io», indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù, il Nazareno». Gesù replicò: «Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano», perché si compisse la parola che egli aveva detto: «Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato». Allora Simon Pietro, che aveva una spada, la trasse fuori, colpì il servo del sommo sacerdote e gli tagliò l’orecchio destro. Quel servo si chiamava Malco. Gesù allora disse a Pietro: «Rimetti la spada nel fodero: il calice che il Padre mi ha dato, non dovrò berlo?».

– Lo condussero prima da Anna
Allora i soldati, con il comandante e le guardie dei Giudei, catturarono Gesù, lo legarono e lo condussero prima da Anna: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Caifa era quello che aveva consigliato ai Giudei: «È conveniente che un solo uomo muoia per il popolo».

Intanto Simon Pietro seguiva Gesù insieme a un altro discepolo. Questo discepolo era conosciuto dal sommo sacerdote ed entrò con Gesù nel cortile del sommo sacerdote. Pietro invece si fermò fuori, vicino alla porta. Allora quell’altro discepolo, noto al sommo sacerdote, tornò fuori, parlò alla portinaia e fece entrare Pietro. E la giovane portinaia disse a Pietro: «Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo?». Egli rispose: «Non lo sono». Intanto i servi e le guardie avevano acceso un fuoco, perché faceva freddo, e si scaldavano; anche Pietro stava con loro e si scaldava.

Il sommo sacerdote, dunque, interrogò Gesù riguardo ai suoi discepoli e al suo insegnamento. Gesù gli rispose: «Io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel tempio, dove tutti i Giudei si riuniscono, e non ho mai detto nulla di nascosto. Perché interroghi me? Interroga quelli che hanno udito ciò che ho detto loro; ecco, essi sanno che cosa ho detto». Appena detto questo, una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù, dicendo: «Così rispondi al sommo sacerdote?». Gli rispose Gesù: «Se ho parlato male, dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?». Allora Anna lo mandò, con le mani legate, a Caifa, il sommo sacerdote.

– Non sei anche tu uno dei suoi discepoli? Non lo sono!
Intanto Simon Pietro stava lì a scaldarsi. Gli dissero: «Non sei anche tu uno dei suoi discepoli?». Egli lo negò e disse: «Non lo sono». Ma uno dei servi del sommo sacerdote, parente di quello a cui Pietro aveva tagliato l’orecchio, disse: «Non ti ho forse visto con lui nel giardino?». Pietro negò di nuovo, e subito un gallo cantò.

– Il mio regno non è di questo mondo
Condussero poi Gesù dalla casa di Caifa nel pretorio. Era l’alba ed essi non vollero entrare nel pretorio, per non contaminarsi e poter mangiare la Pasqua. Pilato dunque uscì verso di loro e domandò: «Che accusa portate contro quest’uomo?». Gli risposero: «Se costui non fosse un malfattore, non te l’avremmo consegnato». Allora Pilato disse loro: «Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge!». Gli risposero i Giudei: «A noi non è consentito mettere a morte nessuno». Così si compivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire.

Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». Gli dice Pilato: «Che cos’è la verità?».

E, detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo in lui colpa alcuna. Vi è tra voi l’usanza che, in occasione della Pasqua, io rimetta uno in libertà per voi: volete dunque che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Allora essi gridarono di nuovo: «Non costui, ma Barabba!». Barabba era un brigante.

– Salve, re dei Giudei!
Allora Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare. E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora. Poi gli si avvicinavano e dicevano: «Salve, re dei Giudei!». E gli davano schiaffi.

Pilato uscì fuori di nuovo e disse loro: «Ecco, io ve lo conduco fuori, perché sappiate che non trovo in lui colpa alcuna». Allora Gesù uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!».

Come lo videro, i capi dei sacerdoti e le guardie gridarono: «Crocifiggilo! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Prendetelo voi e crocifiggetelo; io in lui non trovo colpa». Gli risposero i Giudei: «Noi abbiamo una Legge e secondo la Legge deve morire, perché si è fatto Figlio di Dio».

All’udire queste parole, Pilato ebbe ancor più paura. Entrò di nuovo nel pretorio e disse a Gesù: «Di dove sei tu?». Ma Gesù non gli diede risposta. Gli disse allora Pilato: «Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?». Gli rispose Gesù: «Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande».

– Via! Via! Crocifiggilo!
Da quel momento Pilato cercava di metterlo in libertà. Ma i Giudei gridarono: «Se liberi costui, non sei amico di Cesare! Chiunque si fa re si mette contro Cesare». Udite queste parole, Pilato fece condurre fuori Gesù e sedette in tribunale, nel luogo chiamato Litòstroto, in ebraico Gabbatà. Era la Parascève della Pasqua, verso mezzogiorno. Pilato disse ai Giudei: «Ecco il vostro re!». Ma quelli gridarono: «Via! Via! Crocifiggilo!». Disse loro Pilato: «Metterò in croce il vostro re?». Risposero i capi dei sacerdoti: «Non abbiamo altro re che Cesare». Allora lo consegnò loro perché fosse crocifisso.

– Lo crocifissero e con lui altri due
Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo detto del Cranio, in ebraico Gòlgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, uno da una parte e uno dall’altra, e Gesù in mezzo. Pilato compose anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei». Molti Giudei lessero questa iscrizione, perché il luogo dove Gesù fu crocifisso era vicino alla città; era scritta in ebraico, in latino e in greco. I capi dei sacerdoti dei Giudei dissero allora a Pilato: «Non scrivere: “Il re dei Giudei”, ma: “Costui ha detto: Io sono il re dei Giudei”». Rispose Pilato: «Quel che ho scritto, ho scritto».

– Si sono divisi tra loro le mie vesti
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti, ne fecero quattro parti – una per ciascun soldato –, e la tunica. Ma quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: «Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca». Così si compiva la Scrittura, che dice: «Si sono divisi tra loro le mie vesti e sulla mia tunica hanno gettato la sorte». E i soldati fecero così.

– Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!
Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

(Qui si genuflette e di fa una breve pausa)

– E subito ne uscì sangue e acqua
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: «Non gli sarà spezzato alcun osso». E un altro passo della Scrittura dice ancora: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto».

– Presero il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli insieme ad aromi
Dopo questi fatti Giuseppe di Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto, per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. Vi andò anche Nicodèmo – quello che in precedenza era andato da lui di notte – e portò circa trenta chili di una mistura di mirra e di áloe. Essi presero allora il corpo di Gesù e lo avvolsero con teli, insieme ad aromi, come usano fare i Giudei per preparare la sepoltura. Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora posto. Là dunque, poiché era il giorno della Parascève dei Giudei e dato che il sepolcro era vicino, posero Gesù.

Cattolici e musulmani hanno sottoscritto una carta dei diritti. Ma il difficile viene adesso

Il difficile è passare dalla teoria alla pratica. Parole, silenzi e retroscena del primo incontro del Forum tra le due religioni nato dalla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona e dalla lettera al papa di 138 saggi islamici

di Sandro Magister

 

ROMA, 10 novembre 2008 – Nella foto, Benedetto XVI stringe la mano a Ingrid Mattson, canadese, presidente della Società Islamica del Nordamerica. Osserva la scena Tariq Ramadan, il più famoso e controverso tra i pensatori musulmani europei, egiziano con cittadinanza svizzera e cattedra a Oxford, nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani.

La foto è stata scattata giovedì 6 novembre nella Sala Clementina dei palazzi apostolici. Il papa ha appena ricevuto le due delegazioni, una cattolica e una musulmana, di 24 membri più 5 consulenti ciascuna, che hanno partecipato il 4 e 5 novembre, in Vaticano, al primo seminario del Forum cattolico-musulmano istituito dal pontificio consiglio per il dialogo interreligioso e da rappresentanti dei 138 leader musulmani che hanno firmato la lettera aperta ai leader cristiani del 13 ottobre 2007, un anno dopo la memorabile lezione tenuta da Benedetto XVI a Ratisbona.

L’incontro col papa è stato aperto da un saluto del cardinale Jean-Louis Tauran, capo della delegazione cattolica, e da due indirizzi letti dal capo della delegazione musulmana Shaykh Mustafa Ceri?, sunnita, gran mufti della Bosnia ed Erzegovina, e da Seyyed Hossein Nasr, sciita, iraniano emigrato negli Stati Uniti, professore alla George Washington University.

A tutti ha risposto Benedetto XVI con un discorso nel quale ha detto:

“Vi è un grande e vasto campo in cui possiamo agire insieme per difendere e promuovere i valori morali che fanno parte del nostro retaggio comune. Solo a partire dal riconoscimento della centralità della persona e della dignità di ogni essere umano, rispettando e difendendo la vita, che è il dono di Dio e che quindi è sacra sia per i cristiani sia per i musulmani, solo a partire da questo riconoscimento possiamo trovare un terreno comune per costruire un mondo più fraterno, un mondo in cui i contrasti e le differenze vengano risolti in maniera pacifica e in cui la forza devastante delle ideologie venga neutralizzata”.

E ancora:

“Auspico che i diritti umani fondamentali vengano tutelati per tutte le persone ovunque. I leader politici e religiosi hanno il dovere di assicurare il libero esercizio di questi diritti nel pieno rispetto della libertà di coscienza e della libertà di religione di ciascuno. La discriminazione e la violenza che ancora oggi i credenti sperimentano in tutto il mondo e le persecuzioni spesso violente di cui sono oggetto sono atti inaccettabili e ingiustificabili, tanto più gravi e deplorevoli quando vengono compiuti nel nome di Dio”.

Nel pomeriggio, le due delegazioni hanno diffuso una dichiarazione congiunta. Un documento in 15 punti – riportato integralmente più sotto – nel quale si afferma tra l’altro:

“Le minoranze religiose hanno il diritto di essere rispettate nelle proprie convinzioni e pratiche religiose. Hanno anche diritto ai propri luoghi di culto”.

Un’affermazione importante. Perché è noto che tale doppio diritto è lontano dall’essere pienamente praticato negli Stati musulmani. Tant’è vero che poche ore prima, la mattina dello stesso giorno, ricevendo per la presentazione delle credenziali il nuovo ambasciatore della Repubblica Araba d’Egitto presso la Santa Sede, la signora Lamia Aly Hamada Mekhemar, Benedetto XVI si era sentito in dovere di chiedere che fosse data presto “la possibilità di pregare Dio degnamente in luoghi di culto adeguati” ai visitatori cristiani che affollano i centri turistici di quel paese.

Quest’ultimo è un piccolo indizio del divario profondo che ancora separa, in campo musulmano, i riconoscimenti astratti di taluni diritti dalla loro effettiva messa in pratica.

Il seminario del 4-6 novembre del Forum cattolico-musulmano è stato, a questo proposito, rivelatore. Nei suoi successi come nei suoi limiti.

* * *

I lavori si sono svolti a porte chiuse. Sia nel primo che nel secondo giorno la discussione è stata introdotta da due contributi di mezz’ora ciascuno, da parte di un cattolico e di un musulmano. I temi in discussione sono stati dapprima “i fondamenti teologici e spirituali” e poi “la dignità umana e il rispetto reciproco”.

Gli autori della lettera dei 138 avrebbero preferito concentrare la discussione sul primo dei due temi, mentre da parte vaticana vi era l’esigenza di andare al concreto. L’agenda dei lavori ha soddisfatto entrambi. Nella dichiarazione finale, il primo dei 15 punti registra il “genio distintivo delle due religioni” nel considerare l’amore di Dio e del prossimo. mentre gli altri punti specificano l’applicazione di questo principio teologico e spirituale alla vita concreta degli individui e delle società.

Il punto 5 della dichiarazione congiunta è stato uno dei più battagliati:

“L’amore autentico del prossimo implica il rispetto della persona e delle sue scelte in questioni di coscienza e di religione. Esso include il diritto di individui e comunità a praticare la propria religione in privato e in pubblico”.

L’islamologo gesuita Samir Khalil Samir, membro della delegazione cattolica, ha ricostruito così, su “Asia News” del 7 novembre, la discussione che ha preceduto questa formulazione finale:

“Alcuni musulmani obiettavano: ‘Se scrivete queste parole ci mettete in difficoltà. La libertà di religione nei nostri paesi è regolata da leggi dello Stato. Come facciamo a diffondere un documento se è contrario alle leggi dello Stato? Il rischio è di essere squalificati ed emarginati nella nostra società’. Alcuni hanno suggerito di togliere almeno le parole ‘in privato e in pubblico’.

“C’era anche una formulazione che rivendicava il diritto di diffondere la propria fede come Da’wa, la missione per l’islam, o come Tabshir, la missione cristiana. Ma questa formulazione è stata ritenuta troppo forte e l’abbiamo eliminata.

“Tutte le difficoltà sono state sbloccate dal gran mufti di Sarajevo. Mustafa Ceri? ha ricordato che la formula sulla libertà religiosa usata nel documento comune ‘è la stessa della dichiarazione sui diritti dell’uomo dell’ONU. E molti governi musulmani hanno sottoscritto questa dichiarazione. Dunque essi devono accettarla, anche se magari non la praticano’. Questo argomento ha consentito a tutti di aderire al documento finale”.

Anche il punto 11 è stato particolarmente controverso:

“Professiamo che cattolici e musulmani sono chiamati a essere strumenti di amore e di armonia tra i credenti e per tutta l’umanità, rinunciando a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione, e a sostenere il principio di giustizia per tutti”.

Riferisce padre Samir:

“I musulmani volevano che si togliesse la parola ‘terrorismo’ e la si sostituisse con il termine più generico ‘violenza’. Questo perché si sentono attaccati da tutti e accusati da tutti di terrorismo. Uno di loro ha detto: ‘Io non sono Bin Laden. Perché fate portare a me il peso di quanto fa Bin Laden?’. Poi però la discussione si è fatta più pacata. Alcuni musulmani hanno riconosciuto che chi li attacca non sono i cristiani, ma il mondo secolarizzato e ateo, contro il quale musulmani e cristiani devono resistere assieme. Hanno quindi espresso il desiderio di superare le antiche contrapposizioni. Un musulmano ha detto di non accettare più la classica divisione fra Dar al-Islam,la Casa della Pace, e Dar al-Harb,la Casa della Guerra, che comporta una divisione politico-religiosa del mondo e fomenta il jihad contro l’Occidente. Sarebbe invece da preferire la definizione di Casa della Testimonianza: estesa ovunque, nei paesi islamici e nei paesi occidentali, dove l’importante è testimoniare la propria fede, da parte dei musulmani come dei cristiani”.

* * *

Oltre alle cose dette, nella dichiarazione congiunta, ci sono poi le cose taciute.

Una di queste riguarda la libertà di abbandonare la fede musulmana e abbracciarne un’altra tra cui la cristiana. Nei paesi islamici questa “apostasia” è severamente punita, in talune aree con la pena di morte. O comunque è ostracizzata, con l’espulsione di fatto del reo dalla famiglia e dal consorzio civile.

Nel punto 5 della dichiarazione finale manca un esplicito riconoscimento di questa libertà. E nel presentare al pubblico la dichiarazione, a nome della delegazione musulmana, Seyyed Hossein Nasr ha giustificato questo silenzio con argomenti storici e politici.

A due precise domande, l’una riguardante il diritto a cambiare fede e la sorte dei convertiti, l’altra la persecuzione che opprime i cristiani in Iraq e in altre regioni islamiche, Nasr ha risposto che “le difficoltà di questi cristiani sono niente a confronto di quanto hanno patito i popoli musulmani nei secoli ad opera dei cristiani, e oggi in particolare ad opera di Israele e degli Stati Uniti”.

E da cittadino americano ha aggiunto: “Anche nel Texas chi diventa musulmano subisce ostilità e pressioni”.

* * *

Dopo questo primo seminario, il Forum cattolico-musulmano si è impegnato a tenerne un secondo “entro due anni in un paese a maggioranza musulmana”.

Ecco dunque il testo completo della dichiarazione diffusa il 6 novembre, nella traduzione dall’originale inglese fatta dal pontificio consiglio per il dialogo interreligioso:

Primo seminario del Forum cattolico-musulmano, Roma, 4-6 novembre 2008 – Dichiarazione finale

Il Forum cattolico-musulmano è stato costituito dal Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso e da una Delegazione dei 138 firmatari musulmani della Lettera aperta intitolata “Una Parola Comune”, alla luce di tale documento e della risposta di Sua Santità Benedetto XVI tramite il suo segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone. Il suo primo Seminario si è svolto a Roma dal 4 al 6 novembre 2008. Sono intervenuti ventiquattro partecipanti e cinque consiglieri di ciascuna delle due religioni. Il tema del Seminario è stato “Amore di Dio, amore del prossimo”.

Il dibattito, condotto in un caldo spirito conviviale, si è concentrato su due grandi temi: “fondamenti teologici e spirituali”, “dignità umana e rispetto reciproco”. Sono emersi punti di similitudine e di diversità che riflettono lo specifico genio distintivo delle due religioni.

1. Per i cristiani la fonte e l’esempio dell’amore di Dio e del prossimo è l’amore di Cristo per suo Padre, per l’umanità e per ogni persona. “Dio è amore” (1 Giovanni, 4, 16) e “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Giovanni, 3, 16). L’amore di Dio è posto nel cuore dell’uomo per mezzo dello Spirito Santo. È Dio che per primo ci ama permettendoci in tal modo di amarlo a nostra volta. L’amore non danneggia il prossimo nostro, piuttosto cerca di fare all’altro ciò che vorremmo fosse fatto a noi (cfr. 1 Corinzi, 13, 4-7). L’amore è il fondamento e la somma di tutti i comandamenti (cfr. Galati, 5, 14). L’amore del prossimo non si può separare dall’amore di Dio, perché è un’espressione del nostro amore verso Dio. Questo è il nuovo comandamento “che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Giovanni, 15, 12). Radicato nell’amore sacrificale di Cristo, l’amore cristiano perdona e non esclude alcuno. Quindi include anche i propri nemici. Non dovrebbero essere solo parole, ma fatti (cfr. 1 Giovanni, 4, 18). Questo è il segno della sua autenticità.

Per i musulmani, come esposto nella lettera Una Parola Comune, l’amore è una forza trascendente e imperitura, che guida e trasforma lo sguardo umano reciproco. Questo amore, come indicato dal Santo e amato profeta Maometto, precede l’amore umano per l’Unico Vero Dio. Un hadith indica che l’amore compassionevole di Dio per l’umanità è persino più grande di quello di una madre per il proprio figlio (Muslim, Bab al-Tawba: 21). Quindi esiste prima e indipendentemente dalla risposta umana all’Unico che è “l’Amorevole”. Questo amore e questa compassione sono così immensi che Dio è intervenuto per guidare e salvare l’umanità in modo perfetto, molte volte e in molti luoghi, inviando profeti e scritture. L’ultimo di questi libri, il Corano, ritrae un mondo di segni, un cosmo meraviglioso di maestria divina, che suscita il nostro amore e la nostra devozione assoluti affinché “coloro che credono hanno per Allah un amore ben più grande” (2: 165) e “in verità il Compassionevole concederà il suo amore a coloro che credono e compiono il bene” (19: 96). In un hadith leggiamo che “Nessuno di voi ha fede finquando non ama per il suo prossimo ciò che ama per se stesso” (Bukhari, Bab al-Iman: 13).

2. La vita umana è un dono preziosissimo di Dio a ogni persona; dovrebbe essere quindi preservata e onorata in tutte le sue fasi.

3. La dignità umana deriva dal fatto che ogni persona è creata da un Dio amorevole per amore, le sono stati offerti i doni della ragione e del libero arbitrio e, quindi, è stata resa capace di amare Dio e gli altri. Sulla solida base di questi principi la persona esige il rispetto della sua dignità originaria e della sua vocazione umana. Quindi ha diritto al pieno riconoscimento della propria identità e della propria libertà da parte di individui, comunità e governi, con il sostegno della legislazione civile che garantisce pari diritti e piena cittadinanza.

4. Affermiamo che la creazione dell’umanità da parte di Dio presenta due grandi aspetti: la persona umana maschio e femmina e ci impegniamo insieme a garantire che la dignità e il rispetto umani vengano estesi sia agli uomini sia alle donne su una base paritaria.

5. L’amore autentico del prossimo implica il rispetto della persona e delle sue scelte in questioni di coscienza e di religione. Esso include il diritto di individui e comunità a praticare la propria religione in privato e in pubblico.

6. Le minoranze religiose hanno il diritto di essere rispettate nelle proprie convinzioni e pratiche religiose. Hanno anche diritto ai propri luoghi di culto e le loro figure e i loro simboli fondanti che considerano sacri non dovrebbero subire alcuna forma di scherno o di irrisione.

7. In quanto credenti cattolici e musulmani siamo consapevoli degli inviti e dell’imperativo a testimoniare la dimensione trascendente della vita attraverso una spiritualità alimentata dalla preghiera, in un mondo che sta diventando sempre più secolarizzato e materialistico.

8. Affermiamo che nessuna religione né i suoi seguaci dovrebbero essere esclusi dalla società. Ognuno dovrebbe poter rendere il suo contributo indispensabile al bene della società, in particolare nel servizio ai più bisognosi.

9. Riconosciamo che la creazione di Dio nella sua pluralità di culture, civiltà, lingue e popoli è una fonte di ricchezza e quindi non dovrebbe mai divenire causa di tensione e di conflitto.

10. Siamo convinti del fatto che cattolici e musulmani hanno il dovere di offrire ai propri fedeli una sana educazione nei valori morali, religiosi, civili e umani e di promuovere un’accurata informazione sulla religione dell’altro.

11. Professiamo che cattolici e musulmani sono chiamati a essere strumenti di amore e di armonia tra i credenti e per tutta l’umanità, rinunciando a qualsiasi oppressione, violenza aggressiva e atti terroristici, in particolare quelli perpetrati in nome della religione, e a sostenere il principio di giustizia per tutti.

12. Esortiamo i credenti a operare per un sistema finanziario etico in cui i meccanismi normativi prendano in considerazione la situazione dei poveri e degli svantaggiati, siano essi individui o nazioni indebitate. Esortiamo i privilegiati del mondo a considerare la piaga di quanti sono colpiti più gravemente dall’attuale crisi nella produzione e nella distribuzione alimentare, e chiediamo ai credenti di tutte le denominazioni e a tutte le persone di buona volontà di cooperare per alleviare la sofferenza di chi ha fame e di eliminare le cause di quest’ultima.

13. I giovani sono il futuro delle comunità religiose e delle società in generale. Vivranno sempre di più in società multiculturali e multireligiose. È essenziale che siano ben formati nelle proprie tradizioni religiose e ben informati sulle altre culture e religioni.

14. Abbiamo concordato di prendere in considerazione la possibilità di creare un Comitato cattolico-musulmano permanente, che coordini le risposte ai conflitti e ad altre situazioni di emergenza, e di organizzare un secondo Seminario in un Paese a maggioranza musulmana ancora da definire.

15. Attendiamo dunque il secondo Seminario del Forum cattolico-musulmano che si svolgerà approssimativamente entro due anni, in un Paese a maggioranza musulmana ancora da definire.

Tutti i partecipanti sono stati grati a Dio per il dono di questo tempo trascorso insieme e per questo scambio proficuo.

Alla fine del Seminario, Sua Santità Papa Benedetto XVI ha ricevuto i partecipanti e, dopo gli interventi del professor Seyyed Hossein Nasr e del Gran Mufti Mustafa Ceri?, ha parlato al gruppo. Tutti i presenti hanno espresso soddisfazione per i risultati del Seminario e la loro aspettativa di un ulteriore proficuo dialogo.

 

Articolo prelevato da:

http://www.iniziativadicomunione.it/

I dervisci danzanti 

Avvertenza: Il presente articolo presenta la spiritualità dei Sufi, in particolare dei Dervisci danzanti. Questa corrente nell’Islam è l’espressione più alta della valorizzazione dell’amore nei rapporti interpersonali e fra le religioni. C’è da sottolineare, tuttavia, che l’amore si ottiene a scapito della verità, in quanto le religioni vengono poste sullo stesso piano: le differenze profonde, ideali, di concezioni, di valori, di regole morali  sono considerate  cosa secondaria…

Ballando con Allah
di Vittoria Prisciandaro
       

Per alcuni sono soltanto un’attrazione turistica. Eredi di un famoso mistico musulmanialogico e mite dell’Islam.

La preghiera coranica inizia, dolce e litanica. Poi cede il passo al canto malinconico del flauto di canna, il ney. Una quindicina di giovani prendono posto al centro della sala circolare. Sono raccolti, concentrati come si conviene agli officianti di una sacra liturgia. Un anziano dai capelli bianchi li accoglie, si inchina e guida i loro passi. È il sey, il maestro, che accompagna il viaggio spirituale verso Dio. La musica diventa corale. Si moltiplicano i flauti, si aggiungono i tamburi e una viola fa da contrappunto alle voci maschili. Saranno una cinquantina i protagonisti di questa cerimonia antica dal fascino indiscusso.  

 

È il Sema, la preghiera dei dervisci danzanti, nata dalla mistica dell’Islam, il sufismo, e filtrata attraverso l’ecumenismo ante litteram di Celaddin Rumi, il poeta filosofo chiamato Mevlâna (“la nostra guida”).

Contemporaneo di Francesco di Assisi, in qualche modo il saggio vissuto nelle steppe dell’Anatolia ne richiama il messaggio di shalom universale, la regola della carità, l’invito all’accoglienza senza giudizio. Non sarebbe dispiaciuto al “poverello” ritrovarsi fianco a fianco con i “mendicanti”, termine persiano da cui proviene la parola dervisci. «Vieni, ritorna, chiunque tu sia, vieni / Non importa se sei un infedele, un idolatra o un adoratore del fuoco / Vieni, anche se hai infranto il tuo giuramento cento volte, vieni lo stesso / La nostra non è la porta della disperazione e del tormento / Vieni». Sono versi tratti dal Mesnevi, l’opera più nota di Rumi, che i suoi seguaci hanno voluto riportare sulle pareti del Mausoleo di Konia, la città dove visse il profeta sufi e che per i turchi rappresenta la seconda meta di pellegrinaggio dopoLa Mecca.

 

Pur se trasformato in un museo, oggi l’antico convento dei dervisci resta luogo di preghiera. E sono soprattutto le donne che invocano intercessioni sulla sontuosa tomba del grande saggio, che nelle sue opere presentò il volto più tollerante e aperto dell’Islam, tanto da suscitare i sospetti delle altre correnti teologiche a causa dell’esaltazione della virtù dell’amore rispetto all’obbedienza.


La cerimonia del Sema

Proprio rifacendosi alle intuizioni del venerato fondatore, Hasan Cikar, il maestro spirituale che oggi ne raccoglie l’eredità, ha voluto che la danza rituale del Sema venisse aperta anche alle donne. Così, dal 1982, anno in cui è stata fondata l’associazione Contemporary lovers of Mevlâna, già una ventina di donne sono state coinvolte nella preghiera pubblica della domenica pomeriggio.

La Turchia, che per Costituzione non riconosce nessuna associazione religiosa, preferisce considerare e pubblicizzare la liturgia dei dervisci danzanti come uno spettacolo culturale. Eppure chi viene per assistere al Sema – in dicembre nel museo di Konia, durante la settimana di festeggiamenti in ricordo della morte del saggio, o il resto dell’anno a Istanbul, nel vecchio convento Galata Mevlevi situato poco lontano dalla torre dei Galati (già, proprio quelli di san Paolo) – si ritrova coinvolto in un clima di raccoglimento e di profonda preghiera. Pregano gli spettatori, disposti in circolo, con una mano sul cuore. Pregano i giovani che danzano. E ogni loro gesto, così come l’abito che li ricopre, ha un significato religioso. Le mani, prima di tutto: inizialmente incrociate sulle spalle, a richiamare l’Elif, la lettera iniziale di Allah in caratteri arabi, si distendono quando i dervisci iniziano a danzare, con la mano destra che si gira verso il cielo, per ricevere da Dio, e quella sinistra che guarda la terra, per comunicare agli altri il dono del contatto con l’Altissimo.

Come satelliti intorno al sole, i semazen ruotano intorno a sé stessi in un processo di contemplazione sempre più profonda: nel primo giro si immergono nell’universo, quindi nell’unicità di Dio, per purificarsi da dubbi e affanni. L’unione mistica viene rappresentata dalla caduta del lungo mantello nero che li ricopre, simbolo del sepolcro terreno chiuso dalla pietra tombale, indicata dall’alto cappello di feltro a forma conica. Mentre il maestro, Hasan Cikar, passa fra di loro, i dervisci ruotano sempre più fortemente e le tuniche si gonfiano come corolle di fiori. A ogni giro sollevano un piede e pregano il nome di Allah. La cerimonia termina con una citazione tratta dal Corano, mentre il suono del flauto accompagna l’uscita dal Semahane, la sala della danza.

La gente defluisce lentamente, in silenzio. I turisti vanno via mentre la comunità si ritrova in una stanza del museo per un momento di convivialità. Hasan Cikar, smessa la lunga veste nera che lo ricopriva durante la cerimonia e indossato un elegante completo blu, ascolta e saluta. Molti dei presenti gli dedicano sguardi accesi dall’ammirazione. «La nostra filosofia è proiettata sul futuro, ma ha radice in quella di Mevlâna», spiega Cikar. «Il nostro fondatore diceva che tutti i profeti sono uguali: tra Gesù, Maometto, Mosè non c’è alcuna differenza, perché le religioni sono forme diverse di culto che conducono alle stesso Dio. Sono come centinaia di candele che diffondono la stessa luce di amore».
Una donna prega sulla tomba del poeta sufi Celaddin Rumi, custodita a Konia

Cikar, vecchio signore, con sei figli e nove nipoti, dice di essere sempre stato un uomo religioso, ma «dopo l’incontro con Mevlâna ho capito cosa realmente fosse la verità». L’intervista scorre su grandi temi, e le domande sui numeri, sui rapporti con lo Stato e con le altri correnti dell’Islam vengono dribblate con sufficienza. Il numero? «Se pensi allo spirito universale di bellezza e alle persone che possono entrarvi in contatto, come puoi dire quanti hanno conosciuto Mevlâna?», afferma, indicando la piccola comunità che lo circonda, composta da numerosi stranieri.

L’Islam dei dervisci come si differenzia dalle altre espressioni della fede musulmana? «I profeti che sono venuti al mondo sono tutti Islam. Perché sottolineare le differenze? Cerchiamo l’unità nell’amore». Quanto al rapporto con il Governo turco, che li considera un’associazione culturale e non religiosa, Cikar ribatte che «agli occhi dello Stato siamo prima di tutto gli eredi di Mevlâna, un segno spirituale per il mondo. Perché ridurlo a una categoria limitata come quella religiosa?».

Mentre parliamo qualcuno mette fretta. I custodi del museo dove i dervisci si ritrovano la domenica, all’ingresso ci avevano indicato la sala di preghiera come il luogo dove si tiene lo “show”. Quindi, da solerti impiegati dello Stato, una volta terminata la manifestazione, invitano a sloggiare: la cura “pastorale” è rimandata a un altro spazio e tempo.

 

È il martedì sera il giorno in cui i seguaci di Cikar si ritrovano per discutere e confrontarsi. «Per circa un’ora e mezza abbiamo una fitta conversazione sulle opere di Mevlâna, ma anche su quelle di altri profeti. Qualcuno legge la Bibbia, qualche altro scritti buddhisti. Poniamo le domande a Cikar e lui ci dà risposta. Se vogliamo possiamo anche telefonargli a casa, durante la settimana», spiega Tuesday Frint, una giovane americana che ha deciso di trasferirsi a Istanbul proprio dopo l’incontro con l’opera del grande mistico sufi. Piercing, lungo cappotto un po’ sdrucito in pelle nera, scarponi militari, la ventiseienne bostoniana rappresenta un po’ la nuova anima dei dervisci rotanti: «Sì, nel nostro gruppo siamo quasi tutti giovani», dice, prendendo le distanze da una possibile lettura in chiave New Age della sua esperienza religiosa. «La filosofia di Mevlâna ha centinaia di anni, e la sua idea centrale è che l’amore è il fulcro di tutto», dichiara.

Tuesday ha studiato arte, fa la pittrice e vive insegnando la lingua inglese. «Ho cominciato a leggere le opere di Rumi in America. Quando sono arrivata a Istanbul e ho visto che nel gruppo di Cikar erano ammesse anche le donne, sono stata sorpresa positivamente. Ho fatto un po’ di viaggi e poi ho deciso di trasferirmi qui». La sua preghiera, dice, «consiste nel ruotare» (non usa mai i l termine “danza”). «A casa leggo i testi, medito.

Poi prego, e ruotando raggiungo piano piano una sensazione di pace profonda, di purificazione. La cosa importante è ripetere il nome di Dio, immergersi in Lui».

Non teme che la preghiera della domenica sia considerata uno spettacolo per turisti? «La prima volta che sono venuta a Istanbul ero interessata a Mevlâna e sono stata in grado di seguire la cerimonia. Quando ruoto lo faccio anche per i presenti, prego con loro. Se qualcuno lo segue come uno spettacolo… non è un mio problema. Per tutti noi è preghiera», ribadisce.

Tuesday risponde con calma, pacificata. Non sta vendendo un prodotto, racconta con semplicità la storia di chi ha cercato, anche filosoficamente, una strada religiosa, soprattutto avvicinandosi all’Estremo Oriente. E poi l’ha trovata nel mistico sufi del 1200: «Dalle sue opere puoi leggere la stessa frase migliaia di volte e ogni volta ti dice qualcosa di diverso», afferma. «Per esempio c’è un detto che mi dà molta pace: “Non soffrire per ciò che non accade, perché ciò che non succede evita che avvenga un disastro”. Queste cose cerco di portarle nel mio cuore». È lontano l’Islam dal volto integralista, e questo la giovane derviscia lo sottolinea a chiare lettere.

 «Qui in Turchia c’è un Islam diverso da quello dell’Iran. Già in America avevo conosciuto molti musulmani non fondamentalisti. In fondo la nostra religione, così come il cristianesimo, è seguita sia da persone molto rigide, sia da altre molto più aperte. In ogni religione c’è chi sbaglia. Mevlâna dice che un giorno tutti i minareti cadranno dalle moschee e tutte le campane dalle chiese, e allora sarà la perfezione dell’unità», dichiara serafica.

 La ricerca della perfezione, per i giovani dervisci, passa attraverso l’azione individuale: «Ognuno cerca di essere al meglio di sé stesso per poter migliorare anche il mondo», spiega Tuesday. Nessuna azione solidale di gruppo, allora, se non in situazioni eccezionali, quando ci si mobilita per qualche causa umanitaria.

Il volto sereno di Tuesday e anche i suoi piercing sembrano il miglior sponsor alla possibilità di incontro tra la cultura occidentale e quella islamica. La risposta più seria a chi teme la cosiddetta “invasione musulmana”. «Da sempre l’Islam mistico ha giocato un ruolo molto importante nel dialogo interreligioso», conferma il professor Emre Öktem, musulmano, docente di Diritto all’Università Galatasaray e tra i partecipanti a un incontro per il dialogo interreligioso tenuto in Vaticano nel dicembre del 1999.

 «I sufi, e in particolare i dervisci, erano molto rispettati dal popolo, talvolta venerati dopo la morte. Il loro interesse per il dialogo non era di tipo proselitista, ma era considerato un mezzo per assicurare la pace. Erano musulmani, ma amavano i cristiani e gli ebrei», dice il professor Öktem.

 Proprio Mevlâna aveva molti amici tra preti e vescovi bizantini, e non di rado, tra i dervisci danzanti e i cori ortodossi c’era uno scambio di consigli e strumenti musicali. Incontri alla pari, tra cercatori di Dio. Sulle strade della musica e dell’ascesi. Pratica che per Rumi era legata a una grande regola d’oro: «Mostrati come sei, oppure diventa come vuoi sembrare».

 L’antico monastero dei dervisci danzanti di Konia (nella foto), oggi trasformato in un museo, è un luogo sacro molto importante per i musulmani turchi. Ogni anno oltre un milione e mezzo di persone arrivano in pellegrinaggio per pregare sulla tomba del grande pensatore e mistico sufi Celaddin Rumi, chiamato Mevlâna (“la nostra guida”).

L’ordine dei dervisci mevlevi, fondato a Konia nel XIII secolo, fiorì in tutto l’Impero Ottomano ed esercitò una forte influenza sulla vita economica, sociale e politica del Paese. Il padre della Repubblica, Atatürk, considerò gli ordini dei dervisci un ostacolo al cammino del popolo turco, e li bandì nel 1925. Molti monasteri, come quello di Mevlâna, furono espropriati e trasformati in musei.

A Konia, nel Museo Mevlâna, risalente all’epoca selgiuchide, oltre alla sala “di coloro che si amano”, dove sono conservate le tombe dei dervisci più famosi, sono esposti diversi oggetti: articoli di vestiario appartenuti a Mevlâna, strumenti musicali, tappeti, testi miniati, Corani scritti a mano . Sebbene dichiarati fuorilegge, diversi ordini di dervisci sopravvissero nella forma di confraternite religiose: quella dei dervisci danzanti di Konia nel 1957 fu riconosciuta come associazione culturale volta a conservare una tradizione storica. Ciononostante, l’ordine di Mevlevi è ancora profondamente religioso. Ogni anno a Konia, dal 14 al 17 dicembre, si tiene la festa in memoria di Mevlâna.

Celaddin Rumi, meglio noto come Mevlâna, riposa nel museo a lui dedicato nella città di Konia. Rumi nacque nel 1207 vicino a Balkh, nell’odierno Afghanistan. Giunse nel1228 aKonia, dove morì la sera del 17 dicembre 1273. Le sue opere poetiche e religiose, scritte quasi tutte in persiano, sono molto amate e rispettate nel mondo islamico.

 

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L’Avvenire

20 Giugno 2009

INTERVISTA A MICHEL CUYPERS

 

Islam, il dialogo possibile

 

I l dialogo tra cristiani e musulmani non solo è possibile, ma doveroso. E quando gli chiediamo se è preferibile condurlo sul piano culturale, prima che religioso, Michel Cuypers risponde : «Il rimpianto padre Anawati, fondatore de l’Ideo (Istituto Domenicano di Studi Orientali del Cairo), al quale appartengo, amava ripetere durante la sua vita al servizio del dialogo tra musulmani e cristiani: ‘Nessuna religione senza cultura, nessuna cultura senza religione’. Il dialogo deve rispettare queste due dimensioni perché sono indissociabili». Padre Cuypers, domenicano, è uno dei più autorevoli studiosi letterari del testo del Corano. Vive in Egitto, dopo alcuni anni trascorsi in Iran. Lunedì 22 interverrà al Comitato scientifico internazionale della Fondazione Oasis, a Venezia, che ha scelto come tema del suo incontro annuale la tradizione.

Professor Cuypers, il mondo arabo attraversa tensioni contrastanti. Da una parte l’apertura del presidente americano Obama al Cairo. Dall’altra le vicende postelettorali in Iran. La preoccupazione s’intreccia con la speranza?


«Non sono un politologo. Si tratta di realtà complesse che esigono analisi puntuali. Certo, il discorso del presidente Obama al Cairo è stato un avvenimento storico. I musulmani d’Egitto l’hanno accolto molto favorevolmente, con la speranza che venga meno lo spirito di ‘confronto’ sviluppato negli anni della presidenza Bush. Il fatto che Obama abbia un’ascendenza al tempo stesso sui musulmani e sui cristiani è di grande aiuto per lui».

Obama si è riferito ripetutamente al Corano. Come lo ha fatto a suo parere? Strumentalmente?
«No. Le citazioni che ha fatto del Corano erano state scelte molto opportunamente. Per il momento si può dire che il presidente degli Stati Uniti ha guadagnato i cuori dei musulmani. Di sicuro, tutti adesso attendono degli atti che corrispondano alla sua visione, che sicuramente è carica d’entusiasmo per il futuro».

Per i suoi studi sul Corano lei è stato premiato dal governo iraniano. In particolare per quali approfondimenti?


«Il ministero iraniano della cultura rilascia un premio per una ventina dei migliori libri pubblicati nell’anno precedente, in iranologia e in islamologia. Con mia grande sorpresa, questo riconoscimento mi è stato accordato per il libro The Banquet. A Reading of the fifth Sura of the Qur’an (Convivium Press, Miami, 2009) con il quale dimostro come il testo della Sura 5, che appare molto confuso ad una prima lettura, ma è in realtà molto ben composto, secondo tutte le regole della retorica semitica, che è parecchio differente dalla retorica greca alla quale noi siamo abituati».

Come, appunto, va letto il Corano? Troppo spesso si estrapolano versetti che vengono interpretati con versioni di comodo…
«E’ vero. Il Corano è un testo molto difficile da leggere, per noi occidentali del XXI secolo. Bisogna evitare di farne una lettura superficiale, secondo i criteri della cultura moderna. Il Corano è prima di tutto un testo liturgico, che nutre la preghiera pubblica e privata del musulmano, la parola di Dio. E’ in qualche modo simile a quello che per noi è un sacramento: attraverso il Corano, Dio tocca il cuore e l’intelligenza del credente musulmano che riceve la sua parola. Ma questa parola riveste un abito letterario e culturale molto particolare che noi non possiamo comprendere senza una seria iniziazione».

La tradizione nell’islam in che cosa si differenzia dalla nostra tradizione cristiana?
«E’ sempre difficile comparare delle nozioni che sono elaborate in contesti teologici differenti. La tradizione, nella fede cattolica, è anche, in un certo qual modo, un commento della Parola di Dio. Ma è un commento affidato alla Chiesa, sempre viva, che si sviluppa e si rinnova nel corso della storia, sotto l’ispirazione dello Spirito Santo. Non è un insieme di testi chiusi, come nell’islam. Per altro, un grande problema è l’autenticità degli hadits: molti sono considerati apocrifi dalla critica moderna o dai musulmani riformisti».

La tradizione quale importanza ha avuto ed esercita nella società musulmana?
«Bisogna distinguere fra la tradizione religiosa propriamente detta, che è il riferimento più importante per la fede e la vita dei musulmani, e le tradizioni in termini sociologici, che sono ben più antiche dell’islam. Queste giocano un ruolo potente nelle società musulmane, che sono appunto tradizionali. La difficoltà è che spesso il popolo non fa differenza tra le due, come per la questione dell’infibulazione delle ragazze, in Egitto, che è considerata ancora come un obbligo religioso».

La tradizione come viene interpretata dai fondamentalisti e, al contrario, dai moderati?
«Le correnti fondamentaliste vogliono piegare la realtà sociale alle norme che erano quelle dell’epoca del profeta dell’islam. Una società considerata come ideale e da far valere per tutto il corso della storia. La tradizione è presa alla lettera, senza il possibile adattamento.

 

 Per le correnti moderate, invece, il realismo o il semplice buon senso impongono forzatamente degli adeguamenti: bisogna far riferimento all’intenzione profonda della tradizione, al suo spirito, piuttosto che alla sua lettera, segnata da precise circostanze storiche».

Nella legislazione islamica ha influito di più la tradizione o la religione?
«La legge islamica ( shari’a) che si è sviluppata nei primi secoli dell’islam ha la sua sorgente nel Corano e nella tradizione. Ma i testi legislativi del Corano sono poco numerosi rispetto a quelli della tradizione. Concretamente la tradizione ha giocato un ruolo maggiore nella costituzione della legge islamica. Da qui la necessità di distinguere le tradizioni consolidate da quelle deboli o addirittura false, come ha voluto fare la scienza degli hadith che si è molto sviluppata in islam».

 

Da Venezia Francesco Dal Mas

 

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GESU’ – ISA – NEL CORANO  

 

– Il Gesù dell’Islam –

 

E’ opportuno riassumere la posizione dell’Islam verso il “profeta Gesù”, per non cadere nell’ illusione di condividere opinioni analoghe, data la somiglianza di alcuni  titoli cristologici attribuitigli dal Corano.

 

  Come abbiamo scritto, la storia di Maria è delicata e poetica: consacrata a Dio dai suoi genitori, vive in un tempio sotto la tutela di Zaccaria, e la sua vita è segnata da eventi fuori del comune. All’annunciazione  gli angeli le dicono:

 

 “O Maria Dio ti ha prescelta e ti ha purificata e ti ha eletta su tutte le donne del creato…Dio t’annunzia la buona novella d’una Parola che viene da lui. Il suo nome sarà il Cristo, Gesù figlio di Maria, eminente i questo mondo e nell’altro e uno dei più vicini a Dio” ( 3, 42,45).

 

 I racconti sulla nascita e sull’infanzia di Gesù riflettono le storie dei vangeli apocrifi, mentre la teologia coranica afferma di lui che ” non è altro che un Servo al quale noi (Allàh) concedemmo i nostri favori” (53,59), egli è “l’inviato di Allàh” (19,30); “Verbo fatto carne” (3,45); il Messia “confermato dallo Spirito Santo” (5,110) ; “un profeta” ( 19,30) come i suoi predecessori.

 

Per comprendere bene la figura di Gesù nella tradizione islamica, occorre riassumere la posizione dell’Islam rispetto alla divina rivelazione:

 

v esiste un unico Dio – Allàh – creatore che si manifesta agli uomini mediante una lunga serie di profeti, alcuni dei quali sono portatori di un libro sacro. I più recenti sono Mosè conla Torà, Davide con i Salmi, Gesù con il Vangelo.

 

 E ai profeti Noi (Allàh) facemmo seguire Gesù, figlio di Maria… e gli demmo il Vangelo pieno di retta guida e di luce…guida e ammonimento ai timorati di Dio” (5,46).

 

 

v A causa dell’incomprensione umana, dei peccati, i testi sacri vengono manipolati e perdono il loro contenuto originario, per cui, finita un’era, Dio invia un nuovo profeta.

v Il contenuto della Rivelazione è sempre lo stesso: occorre adorare l’unico Dio – Allàh – e obbedire alle sue disposizioni morali e cultuali – queste però mutevoli nel tempo-.

 

v I Profeti sono  messaggeri di Dio – Allàh – sono  servi del Signore, esseri prescelti e inviati, ma solo esseri umani, cui non va tributato alcun tipo di culto, ma soltanto obbedienza.

 

A questo punto si comprende la figura di Gesù nell’Islam: un uomo scelto da Dio, inviato con un libro – il Vangelo –, potente taumaturgo  per volere di Allàh, ma solo un uomo.

Chiarito questo, resta tuttavia un fatto sconcertante e misterioso: Gesù viene nominato tante volte nel sacro testo islamico e soprattutto gli vengono attribuiti una serie stupefacente di titoli cristologico, tali da distinguerlo realmente da tutti gli altri profeti.

 

– I titoli di Gesù nel Corano –

 

   Sicuramente, a differenza e con superiorità rispetto agli altri profeti, vengono attribuiti a Gesù titoli che riecheggiano quelli della rivelazione cristiana, ma che nel contesto assumono un significato molto diverso. Si può giustamente parlare di un “mistero coranico di Gesù”. Li elenchiamo:

 

 

– Gesù è la Parola di Dio  –

“O Gente della Scrittura, non eccedete nella vostra religione e non dite su Allah altro che la verità: Il Messia Gesù, figlio di Maria è un messaggero di Allah, la Sua parola, che Egli pose in Maria, una Spirito da Lui (proveniente). Credete dunque in Allàh e nei suoi messaggeri” (4, 171).

 

– Gesù è il Messia –

Il termine Messia, in arabo, significa “colui che smacchia, lava, pulisce…”, dunque Gesù ‘ci pulisce’ dai nostri peccati:

“Quando gli angeli dissero: ‘O Maria, Allah ti annuncia la lieta novella di una Parola da Lui proveniente: il suo nome è il Messia, Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo e nell’Altro, uno dei più vicini a Dio” (3,45).

 

– Gesù è nato da una vergine –

Il Corano attesta la nobiltà di Maria, la sua purezza, la sua verginità:

 

 

“Ella disse: “Come potrei avere un bambino, se mai un uomo mi ha toccata? Disse: “E’ così che Allah crea ciò che vuole: quando decide una cosa dice solo ‘Sii? ed essa è (3,47).

 

 

 

– Gesù è la misericordia universale di Dio –

“Rispose: “E’ così. Il tuo Signore ha detto: “Ciò è facile per me… faremo di Lui (Gesù) un segno per le genti e una misericordia da parte Nostra. E’ cosa stabilita (19,21).

 

– Gesù segno per tutti i mondi –

“E (ricorda) colei che ha mantenuto la sua castità! insufflammo in essa del Nostro Spirito e facemmo di lei e di suo figlio un segno per i mondi (21,91).

 

– Gesù è la guida da obbedire –

 

 

” Quando Gesù portò le prove evidenti, disse: ‘Sono venuto a voi con la saggezza e per rendervi esplicite una parte delle cose su cui divergete. Temete Allah e obbeditemi‘” (43,63).

 

 

 

 

 

– Gesù è uomo perfetto, puro e senza peccato –

“Non sono altro che un messaggero del tuo Signore, per darti un figlio puro” (19,19).

 

Dunque, nel Corano si trovano ben otto attributi mediante i quali vengono designate la persona e l’opera di Gesù; certamente il messia non è sullo stesso piano degli altri profeti!

 

   Ma tutti i titoli attribuiti dall’Islam a Gesù vanno intesi come qualità di un uomo creato da Dio e santificato in vista di una missione profetica. Così l’espressione “Verbo di Allàh” ( 4,171), non significa la preesistenza del Logos presso il Padre come ci annuncia il Prologo di S. Giovanni, ma semplicemente che Gesù è il profeta annunciato da Dio, creato da Dio e che ha predicato solo  il Verbo di Dio!

 

  Secondo il Corano Gesù non è il Figlio, infatti Dio “basta a Se stesso”,  è ” un Dio solo, troppo glorioso e alto per avere un figlio!” (5,72).

 

La negazione della figliolanza divina però si basa su un equivoco, perché il Corano afferma che Dio “non s’è scelta una moglie né ha generato figli” (72,3), ossia concepisce la generazione di un figlio in senso carnale, il che sarebbe veramente una bestemmia!

 

–  Così la negazione della Trinità, in realtà e la negazione di un’eresia cristiana, perché viene identificata in tre dèi : Dio (Padre), Maria ( Madre) e Gesù Figlio), come risulta dal testo:

“E quando Allàh chiese a Gesù: “O Gesù, figlio di Maria, sei tu che hai detto agli uomini: Prendete me e mia madre come dèi oltre a Dio? E rispose Gesù: ‘ Gloria a Te! Come potrei dire ciò che non ho il diritto di dire? Se lo avessi detto Tu lo avresti saputo: Tu conosci ciò ch’è nell’intimo mio, e io non conosco ciò che è nell’intimo Tuo. Tu solo sei il fondo conoscitore degli arcani!””  (5,116).

 

  Si comprende quindi che questa trinità negata dal Corano non è la Trinità affermata del Vangelo e adorata da noi cristiani.

 

Vi sono tanti equivoci da chiarire, come ad esempio un versetto nega la morte di Gesù:

 

“Essi in realtà non hanno ucciso Gesù, bensì un altro che gli somigliava” (4,157) e secondo i commentatori l’ucciso potrebbe essere un doppio di Gesù, oppure un certo Sergio, o Simone il Cireneo…

 

 

 

In un’altra  sura invece si afferma:” E Dio disse: O Gesù, io ti farò morire di morte umana, e poi ti innalzerò fino a me, e ti purificherò dagli (oltraggi degli) infedeli…” (3,55).

 

 

Gesù tornerà alla fine dei tempi

 – Infine, la tradizione islamica reputa che Gesù, rapito presso Dio, ritornerà per  annunciare il Giudizio universale, si sposerà, avrà dei figli, governerà a Gerusalemme per quarant’anni,  morirà e sarà sepolto accanto a Maometto in Medina.

Recita il Corano:

 “Egli (Gesù, figlio di Maria) non è che un servo cui concedemmo i nostri favori e ne facemmo un esempio per i Figli d’Israele.. ed  egli  dev’essere un segno evidente per la venuta dell’Ora. Comunque, non dovete dubitare di ciò e seguite me (Allah) questo è il cammino (Sura 43, 59,61).

Anche negli Hadith Maometto dice:

Gesù, l’apostolo di Allah, presto discenderà tra voi (musulmani) come un giusto sovrano (Al Bukhari Vol 3 n. 425).

Dunque, credono i musulmani, Gesù sarebbe vivo in cielo e tornerà sulla terra come sovrano ad annunciare il Giudizio Universale – l’Ora – e convertirà ebrei e cristiani all’Islàm..

 

Ricordiamo qui anche la leggenda del movimento degli Ahmadiyya, sorto nell’Ottocente nel Punjab, secondo cui Gesù sulla croce sarebbe solo svenuto e, successivamente guarito, si sarebbe spostato nel Kashmir, dove quindi sarebbe morto a centoventi anni. La sua tomba si troverebbe a Srinagar…

 

 

Gesù ci unisce o ci divide?

 

 

 

E’ innegabile che storicamente la fede in Gesù ha diviso e opposto musulmani e cristiani. Le invasioni islamiche, la risposta delle crociate, le battaglie per la liberazione dell’Europa… quindi secoli di aspre lotte, violenze reciproche, intervallate da brevi periodi di pace, testimoniano che le profonde differenze teologiche hanno inciso nel senso di un’opposizione drastica e belligerante fra le nostre religioni.

 

Nell’Islam la persona di Gesù ha ottenuto una particolare considerazione nel Sufismo, come persona esemplare esprimente l’amore fraterno, ma nella coscienza comune e ortodossa il “profeta Gesù” non ha alcun potere d’intercessione, non viene pregato… è uno dei grandi profeti della storia – il più santo!- che tornerà un giorno per preparare l’umanità al giudizio finale, ma senza alcuna rilevanza al presente.

 

Oggi, nel clima di dialogo e rinnovata conoscenza reciproca, quanti hanno a cuore le relazioni cristiano-islamiche possono sottolineare il fatto che occorra la lettura diretta del Vangelo, per conoscere veramente Gesù, e che una linea di contatto profonda può essere ricercata almeno negli insegnamenti del Messia  sull’amore fraterno e  sul rapporto di adorazione e di amore verso Dio.

 

 

 

Una riflessione teologica conclusiva:

 

   La profonda differenza fra le nostre religioni, dopo la considerazione di alcune affinità – l’adorazione all’unico Dio, il profetismo-, non consiste solo nella negazione della natura divina di Gesù, nella negazione della Trinità, nell’assenza dei sacramenti, del sacerdozio ecc… nell’ Islam, ma nell’impianto teologico fondamentale:

 

a)  per noi Dio si è rivelato progressivamente nella storia, fino a raggiungere la pienezza nell’incarnazione del suo Figlio Gesù;

 

per il Corano la rivelazione è ciclica e ripete sempre gli stessi contenuti espressi nel Patto della Pre-eternità: Dio è Uno e Signore; rivelazione accompagnata da varie prescrizioni, divieti o permissioni, secondo la volontà assoluta ed imperscrutabile di Dio. Non c’è Peccato Originale, dunque non occorre Redenzione e Salvezza;

 

– la teologia coranica è teologia della vittoria!I Profeti sono esempi da seguire e l’umanità si divide tra chi accetta il messaggio ripetuto dal profeta e chi invece lo rigetta, si ribella a Dio. I fedeli vincono, gli altri vengono colpiti, sconfitti, annientati dal Signore!

 

  Questo spiega perché Gesù non può morire! sarebbe una sconfitta di Dio onnipotente! Gli Ebrei, che hanno falsificato le Scritture date da Mosé e vogliono uccidere Gesù, non riescono a farlo: un altro muore al posto suo e Il Messia viene rapito e assunto in cielo, presso Dio.

 

b) Il Cristianesimo invece  consiste in una Teologia della sconfitta: il Figlio di Dio viene realmente ucciso, ma dalla sconfitta, dal sacrificio salvifico scaturisce la Vittoria divina sul peccato e sulla morte!

 

 

 

Prof. GianFederico Tinti

 

 

 

 

 

Prof. GianFederico Tinti

Docente di  Filosofia e Teologia negli Ist. Teol. Cattolici

Presidente Ass. Cult. Teilhard de Chardin

Responsabile Comunità “Gesù, Leone della Tribù di Giuda”

Consigliere nazionale dell’Iniziativa di Comunione nel

Rinnovamento Carismatico Cattolico

 

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La Figura di Maryam – Maria – nel Corano (6)

 

“Abbiamo fatto lei [Maria] e suo Figlio un prodigio per l’umanità”

 

“Oh Maria Allha ti ha eletta; ti ha purificata ed eletta tra tutte le donne del mondo”

(Cfr. Nota n° 1)

 

La storia di Maryam

 

Il Corano parla di Maryam numerose volte, raccontandone la vita e ponendo in luce la sua particolare santità e purezza di vita. Per comprendere bene il significato che la vergine ha nell’Islam, occorre ricordare che, quando Maometto decise di purificarela Kaabadai circa trecento idoli venerati dalle tribù beduine, non fece distruggere l’icona di Maria con il bambino Gesù che lì si trovava esposta. Certamente Maometto era rimasto molto colpito dalle storie che udiva su Gesù e  sulla sua nascita da una madre verginale dai predicatori cristiani itineranti.

 

Contrario alle critiche e accuse che gli Ebrei muovevano alla Vergine, egli ne difese accesamente l’onorabilità e le molteplici virtù.

Nella terza Sura, viene raccontata la storia di Maryam con accenti poetici.  La storia di Maria è delicata: consacrata a Dio dai suoi genitori, vive nel  tempio e passa  sotto la tutela di Zaccaria, dopo che la canna da questi gettata nel fiume Giordano è restata ferma sulle acque, a differenza di quelle gettate dagli altri sacerdoti (E’ una pia leggenda derivata dal Protoevangelo di Giacomo).

 

La sua vita è segnata da eventi fuori del comune, ad es. Zaccaria scopre uno dei segni della benevolenza di Dio verso di lei, consistente nel cibo misteriosamente proveniente dal cielo:

 

“Ogni volta che Zakariya entrava nel santuario trovava cibo presso di lei. Disse:- O Maryam, da dove proviene questo?-. Disse:- Da parte di Allah-. In verità Allah dà a chi vuole senza contare” (Sura della Famiglia di ‘Imran, 3:37)

 

Maria cresce confortata da una presenza angelica che la prepara alla futura missione di generare il Messia, Gesù, l’unto di Dio che porterà agli uomini un nuovo messaggio celeste.

Dopo una lunga preparazione spirituale, all’annunciazione  l’Arcangelo Gabriele le comunica:

 

 

 

 

 

 

 “In verità, o Maryam, Allah ti ha eletta, ti ha purificata ed eletta tra tutte le donne del mondo-Dio t’annunzia la buona novella d’una Parola che viene da lui. Il suo nome sarà il Cristo, Gesù figlio di Maria, eminente i questo mondo e nell’altro e uno dei più vicini a Dio. Ed egli parlerà agli uomini dalla culla, come un adulto e sarà dei Buoni”  (III, 42-47).

 

 

 

Nei versetti che accennano ai miracoli di Gesù bambino, come  quello di dar vita agli uccelli plasmati dall’argilla, si sente l’eco di un altro vangelo apocrifo, il Vangelo di Tommaso.

Maria all’annunciazione è vergine, infatti risponde all’ angelo:

 

 

 

“O mio Signore, rispose Maria, come avrò mai un figlio, se non m’ha toccata alcun uomo?”Rispose l’angelo: “Eppure Dio crea ciò che Egli vuole: allorché ha deciso una cosa non ha che da dire: “Sii ! ” ed essa è” (III, 47).

 

“E Maria, figlia di ‘Imran, che conservò la sua verginità; insuflammo in lei il Nostro spirito. Attestò la veridicità delle parole del Suo Signore e dei Suoi libri e fu una delle devote” (LXVI, 12).

 

La Sura di Maria ( XIX) è  molto antica, del periodo meccano, e si dice che venne recitata al Negus, quando accolse in Abissinia un centinaio di musulmani perseguitati dai pagani. Narra la tradizione che “il Negus scoppiò in lacrime fino a bagnarsi la barba, e anche i vescovi piansero fino a bagnare i libri sacri che tenevano in mano” (Cf Guazzetti).

 

Leggiamo nella Sura XIX la descrizione poetica della nascita  di Gesù:  Maria si apparta in un luogo lontano partorisce appoggiandosi ad una palma, mentre una voce le comunica che Dio ha fatto sgorgare per lei un ruscello e può rifocillarsi con i datteri della pianta. Dopo il parto, Maria si presenta con il bambino alla sua famiglia e in questo momento Gesù pronuncia le  prime parole dalla culla, per difendere l’onore di sua madre:

 

 

“Poi venne con il suo bambino alla sua gente portandolo in braccio. “O Maria, le dissero, tu hai fatto cosa mostruosa. O sorella di Aronne! Non era tuo padre un uomo malvagio né fu peccatrice tua madre !” – Ed essa indicò loro il neonato, e dissero: “Come parleremo noi a chi è ancora nella culla bambino?” – Egli disse: “In verità io sono il Servo di Dio, il quale mi ha dato il Libro e mi ha fatto Profeta, -e m’ha benedetto ovunque io sia e m’ha prescritto la Preghiera e l’Elemosina finché sarò in vita – e m’ha fatto dolce con mia madre, non mi ha fatto violento e scellerato. _- Sia pace su di me, il dì che nacqui e il dì che muoio e il dì quando sarò risuscitato in Vita!” Questo è Gesù, figlio di Maria, secondo parola di verità che alcuni mettono in dubbio. – Non è da Dio prendersi un figlio; sia gloria a Lui!”. (XIX, 27-34).

 

 

Sull’episodio della gravidanza di Maria – opera mirabile di Dio che crea ciò che vuole con un semplice “Sii” – sono fiorite pie leggende nel mondo islamico: secondo Ibn ‘Abbas il concepimento durò solo un’ora – questo a sottolineare  il mistero dell’evento-, mentre secondo l’interpretazione corrente durò proprio nove mesi.

 

Maria, purificata da Dio, istruita dalle comunicazioni angeliche, attesterà la trascendenza e i messaggi del Signore per tutta la vita. Nel Corano Maria occupa un vero posto d’onore e la sua figura spicca  in modo particolare, accanto a quelle femminili di Asiya – moglie del faraone – che salvò Mosè dalle acque, alla moglie di Zaccaria e a Fatima, la cara figlia  del profeta Maometto.

 

Le virtù di Maryam sono molteplici e la rendono un autentico modello di fede dei credenti islamici per l’ascolto fiducioso e l’abbandono alla volontà di Dio, la sua purezza, la sua testimonianza coraggiosa.

 

Atteggiamenti diversi verso Maryam nel mondo islamico

Nell’Islam sunnita ortodosso i modelli di comportamento femminile sono le due mogli del Profeta, Khadìjia e la giovanissima ‘A’isha.

Gli Sciiti invece manifestano un culto di Maryam più acceso e la circondano di pratiche devozionali insieme a Fatima, la figlia amatissima del Profeta e ai suoi due figli.

Nei santuari di Algeri ed Efeso, molti musulmani venerano Maria insieme ai cristiani.

Occorre precisare che i “titoli” mariani sono profondamente diversi da quelli cristiani, ad es. Maria non ha un potere d’intercessione, negato perfino al Profeta, e non  è la “Madre di Dio” , titolo che per i musulmani costituisce una grave bestemmia.

Per un confronto dei testi, riflettiamo sui brani dei nostri vangeli:

 

 

 Maria nel Vangelo

 

 

Riflessioni sul Vangelo di Luca:

a) Maria, la piena di grazia –

“Rallegrati, piena di grazia (kecharitomène). Il Signore è con te”(Lc. 1, 28)

I biblisti, basandosi sul significato e sul tempo del verbo  greco charitòo, deducono il significato autentico e profondo dell’espressione “piena di grazia”, nel senso che Maria è stata colmata dal favore divino ed in esso rimane per sempre, e questo fin da quando è venuta all’esistenza. Viene qui adombrato il dogma dell’Immacolata Concezione.

b) Maria, la  “Figlia di Sion”-

Poiché il Corano ricalca in parte il racconto dell’infanzia riportato da Luca, ci limitiamo ad alcune sottolineature del testo citato:

 

“Entrando da lei (l’angelo), disse: “Rallegrati (chàire), piena di grazia, il Signore è con te”. A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse tale saluto. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande, e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine” ( Lc. 1, 28-33).

 

Per comprendere la profondità del brano, occorre rifarsi al passo corrispondente della profezia messianica di Sofonia, indirizzata alla “Figlia di Sion”, ossia a Israele personificato:

“Rallegrati figlia di Sion, Jahweh è re d’Israele in te.. Non temere, Sion… Jahweh tuo Dio è nel tuo seno, guerriero salvatore re d’Israele in Te” (Sof. 3, 15-16).

Si comprende chiaramente il parallelismo delle profezie: Maria è la personificazione della Figlia di Sion e nel suo grembo verginale accoglie il Figlio di Dio!

c) Maria, il Tabernacolo escatologico –

Gli studiosi hanno notato il parallelismo tra Luca e il versetto dell’Esodo:

 

 

La potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra; perciò il bambino che nascerà sarà chiamato santo, Figlio di Dio” (Lc. 1,35).

 

 

 

Ricordiamo che  nell’A.T. l’espressioni “nube-gloria, dimora-tabernacolo” attestano la presenza particolare di Dio nel luogo di culto. Ecco il passo parallelo dell’Esodo:

 

“La nube coprì con la sua ombra il Tabernacolo e la gloria di Jahweh riempì la dimora” (Es. 40,35).

 

Dunque il passo di Luca significa che Maria è riempita della presenza di un essere che è “Santo”, “Figlio di Dio”, comela Tendadell’Alleanza che è riempita dalla Gloria, ossia dalla particolare presenza del Signore.

 

d) Maria, l’Arca della nuova Alleanza –

L’episodio della visitazione, con il viaggio di Maria verso la casa di Zaccaria è in parallelo con il viaggio dell’Arca dalla casa di Obededom verso Gerusalemme. E’ sufficiente l’accostamento dei seguenti versetti:

Il grido di Elisabetta:

“Da dove a me questo che venga a me la Madre del mio Signore?” (Lc. 1,43).

E il grido di Davide alla vista dell’Arca:

“Come è possibile che venga a me l’Arca di Jahweh?” (2 Sam. 6,11)

 

In tutti i testi citati Maria, piena di grazia, viene assimilata al Tabernacolo, all’Arca di Jahwèh, ossia essa è la Madredel Signore in senso trascendente. Scrive giustamente S. Ignazio: “Il nostro Dio Gesù, Cristo, nato dal seme di Davide, ma per opera dello Spirito Santo, fu portato nel seno di Maria secondo il disegno divino”. L’elaborazione teologica del Concilio di Efeso (a. 431) esprime in questi termini il dogma mariano:

 

 

“Se qualcuno non professa che l’Emmanuele (=Cristo) è veramente Dio e che perciò la santa Vergine è Madre di Dio – generò infatti secondo la carne il Verbo di Dio fatto carne – sia scomunicato”.

 

 

Conclusione

Abbiamo presentato con accuratezza la figura di Maria come si evince dal Corano, mostrando poi la profondità della concezione evangelica… che dire?

I musulmani rispettano e, in alcuni casi, venerano Maria, per la sua purezza verginale, la profonda pietà verso Dio, la costante testimonianza di fede e per aver dato alla luce Gesù, il Messia.

Questa stima è uno dei punti di contatto che, se usato con intelligenza e sensibilità, può favorire il dialogo e il rispetto fra cattolici e musulmani.

Naturalmente occorre però tener presente che vi sono divergenze radicali non componibili, in quanto Maria secondo la concezione islamica ortodossa non ha alcun potere d’intercessione e tanto meno è madre di Dio.

 

Tuttavia, occorre tener presente che l’azione salvifica misteriosa  di Dio  si esercita anche negli atti di devozione dell’Islam, superando la dimensione concettuale, il credo islamico, con i suoi evidenti limiti riguardo alle figure di Maria e, come vedremo presto, di Gesù.

La Vergine Maria   illumini  il  dialogo aperto e coraggioso nella verità, il confronto sereno fra l’Islam e il Cristianesimo, per la costruzione di  una società basata sull’accoglienza reciproca, fondata sul rispetto e sull’amore !

 

 

 

– Nota n.° 1 –

–      Spiegazione dell’icona della Vergine con il bambino Gesù presentata all’inizio del file:

 

La rivista musulmana AI-Ma’areja ha pubblicato un numero speciale monografico di 224 pagine dedicato alla Vergine Maria. 
Questa rivista di studi coranici è pubblicata dal Centro “Al-Ma’arej” per il dialogo intereligioso cha ha sede a Damasco e gli uffici a Beirut. Il Centro è stato fondato 4 anni fa, dopo il viaggio di papa Giovanni Paolo II in Siria “sulle orme di San Paolo” e la sua storica visita alla Grande Moschea degli Omeyyades (maggio 2001).
La novità assoluta per una pubblicazione mussulmana è la coperta che riproduce l’icona “Platitera” della Vergine con il bambino Gesù che, nella tradizione bizantina, è associata al ciclo liturgico del Natale e simboleggia il mistero dell’incarnazione.
Al disopra dell’icona un versetto coranico detto: “Abbiamo fatto lei [Maria] e Suo Figlio un prodigio per l’umanità”. L’altro versetto coranico sotto l’icona dice: “Oh Maria Allah ti ha eletta; ti ha purificata ed eletta tra tutte le donne del mondo”.

 

– Nota n.° 2 – Per una sintetica esposizione dei riferimenti biblici  su Maria, confronta il saggio di Giuseppe Crocetti, L’Assalto dei Testimoni di Geova,  Centro Eucaristico – Ponteranica –Bg- 1975, pp. 216-230.

 

Articolo prelevato da:

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MAOMETTO – VITA E DOTTRINA – (5)

 

Autocoscienza del Profeta

 

Ora, prescindendo da quanto la pietà popolare ha creato su di lui, cerchiamo di comprendere dalle parole del Corano come Muhammad comprendeva se stesso, la sua missione.

– Innanzitutto, egli è un semplice uomo peccatore, anche se investito di missione divina:

“Sii paziente, ché la promessa di Allah è verità. Chiedi perdono per il tuo peccato e glorifica e loda il tuo signore alla sera e al mattino (Sura XV, 55).

“Sappi che in verità non c’è dio all’infuori di Allah e implora perdono per il tuo peccato e per i credenti e le credenti.

“… affinché Allah perdoni i tuoi peccati passati e futuri, perfezioni su di te il Suo favore e ti guidi nella retta via (Sura 48, 2).

 

Io non ho potenza da me stesso né danno né profitto all’infuori della volontà di Allah. Ogni comunità ha il suo termine. Quando esso giunge, non viene concessa né un’ora di ritardo, né una di anticipo” (Sura 10,49)

“In tal modo ti rivelammo un Corano arabo, affinché tu ammoniscala Madredelle città (Mecca) e coloro che (le abitano intorno)… (Sura 42,7).”

 

Muhammad è sincero quando afferma di non conoscere i misteri di Dio e di non possedere il tesoro di Dio:

“Dì: io invero non posso fare a voi né male né bene

Non posso farvi se non una comunicazione da parte di Dio e notificarvi i suoi messaggi…

Dì: non so se sia vicino quello di cui siete minacciati,

o se il mio Signore sia per stabilire, ad esso, un termine

Egli è il conoscitore dell’arcano,

né svelerà il suo arcano ad alcuno…”. (Sura 72, 21-26)

“Dì: io non posso procurare a me stesso alcun vantaggio;

né allontanare da me cosa dannosa,

se non in quanto Dio lo voglia.

Se io conoscessi il “Mistero (di Dio= al-ghaijeb)”

godrei abbastanza di beni (spirituali)

e il male non potrebbe colpirmi.

Ma io non sono che un ammonitore, e un messaggero di buone novelle a gente che crede”. (Sura 7, 188)

 

Dunque egli non conosce il mistero profondo della vita intima di Dio, né i misteri dell’aldilà, se non in quanto Dio gli ha rivelato:

 

“Dì: Io non vi dico: ho in mio potere i tesori di Dio! Io non conosco i misteri dell’aldilà! Io non seguo che quel che mi è stato rivelato!” (Sura 6,50)

“A voi non dico di possedere i tesori di Dio né di conoscere l’Occulto, né di essere un angelo.” (Sura 11, 33-31)

 

  Dunque, il Corano afferma la peccaminosità del Profeta, la sua mancanza di potere, l’essere venuto solo per il popolo arabo. Egli sostiene di essere uno dei  25 profeti che si sono succeduti nella storia, di cui i più importanti hanno portato un “Libro”. Tra gli “inviati” si distinguono: Abramo, Mosé, che ha portatola Turàh, Gesù che ha portato al-Ingìl (il Vangelo): Muhammad è però il rasùl (inviato) definitivo, il “sigillo dei profeti”(S. 33,40). La parola ultima e conclusiva di Dio all’umanità. Dopo di lui nessun profeta.

“Certo, abbiamo fatto scendere su di te una rivelazione, come l’avevamo fatta scendere su Noè e sui profeti che dopo di lui erano apparsi. Abbiamo fatto scendere la rivelazione ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, alle tribù (d’Israele), a Gesù, a Giobbe, a Giona, ad Aronne, a Salomone; e a Davide abbiamo dato il salterio”(4,163).

“Questo Corano non è stato inventato da nessun altro che da Allah. E’ conferma di messaggi anteriori, spiegazione dettagliata della Scrittura inviata dal Signore dei mondi, in cui non c’è ombra di dubbio” (10,37).

  I profeti che si sono susseguiti , solo come “guide e ammonitori” ricordano all’umanità il patto di “a làstu”, avvenuto alle origini:

“(E ricorda) quando Iddio trasse dalle spine dorsali dei Figli di Adamo i loro discendenti e li fece attestare ei riguardi di sé stessi.

“Non sono il Vostro Signore?”. “Sì, l’attestiamo” risposero.

Questo perché non possiate dire il giorno della Resurrezione:

“Noi non ne sapevamo nulla”.Sura 7:171-172/173

 

  Viene descritto Il grande patto della “pre-eternità” ( mithaq) stipulato da Dio con la stirpe di Adamo, che impegna tutti gli uomini e ciascun uomo a riconoscere Iddio, rinunziando ad ogni idolatria, ed a rendergli un culto di sincera adorazione.

Ciò significa che nel cuore dell’uomo, nell’interiorità della coscienza c’è una predisposizione naturale  a riconoscere Dio, una sorta di “religione naturale” (fitra) che orienta l’essere umano verso il  suo Creatore e rende inescusabile l’ateismo. Ne consegue che ogni uomo nasce musulmano…

 

 

–  L’ autocoscienza di Muhammad è chiara: egli è solo un uomo che non conosce e non possiede i misteri di Dio, non ha poteri particolari, nemmeno d’intercessione verso i suoi, è però un grande profeta, il “sigillo dei profeti”. Attraverso di lui il Signore fa scendere sull’uomo per l’ultima volta la medesima rivelazione. “Dopo di me nessun profeta”, disse Muhammad.

 

 

 

 

Quale valutazione oggi da parte nostra?

 

–  Dobbiamo rigettare le numerose tesi offensive e calunniatrici espresse sul conto di Muhammad fiorite nel corso dell’epico scontro tra l’Islam e il Cristianesimo. Il profeta è stato descritto come un vizioso, un mago, un cardinale romano ribelle… perché non venne eletto papa ( sic!); la tesi demoniaca sostiene che fosse posseduto ecc…

 

–         Sul problema di Maometto sarà bene rinunciare a tutti i pregiudizi del passato, con le accuse veramente infamanti mosse alla sua persona, come quella di essere una figura dell’ Anticristo, un epilettico, un pazzo.

–          In particolare occorre evitare  la critica agli aspetti della  sua vita morale, come la poligamia e l’impulso dato alla guerra santa, che possono essere compresi nel contesto sociale in cui viveva, per cogliere nella sua personalità quegli aspetti positivi che lo rendono grande: il desiderio di divulgare il monoteismo alle tribù politeiste dell’Arabia  e di difendere l’onorabilità di Maria e il messianismo di Gesù presso gli ebrei  della Mecca e di Medina. Una giusta rivalutazione della predicazione di Muhammad,   inserito nell’ambito di un piano divino iniziale, parziale ed orientato a sfociare in futuro nella piena comprensione della persona di Gesù  –  non potrà passare sotto silenzio  il fatto che Maometto ha ammesso umilmente d’ignorare i misteri di Dio: “Io non conosco i misteri dell’aldilà!”(  6:50), e riconosciuto anche il proprio stato di peccatore: “Chiedi perdono a Dio per la tua colpa” ( 40, 55).

 

  Ciò non toglie nulla alla sua grandezza, non solo come genio politico, sociale e militare, ma come uomo che ha vissuto  con sincerità ed intensità la fede nell’unico Signore creatore, nell’attesa del giorno del Giudizio finale.  

 

–  Da evitare poi assolutamente  uno sgradevole paragone diretto con la figura di Gesù,  che per i suoi  insegnamenti, miracoli e santità,  si pone al di sopra di ogni altro profeta e maestro, in quanto unico rivelatore della vita intima di Dio. La simpatia con cui guardiamo Maometto, singolare proponitore del monoteismo, non diminuisce quando lo vediamo dotato di una conoscenza e di una missione limitate a poche verità religiose fondamentali, mentre il Corano stesso gli suggerisce di chiedere spiegazioni ai rabbini ed ai cristiani : ” E se sei in dubbio su qualcosa che ti abbiamo rivelata, domandane a quelli che leggono la scrittura che era prima di te”( 10,94).

 

 

– Aspetti critici : possiamo accettare la tesi di un vero profetismo di Maometto?

 

E’ quanto afferma il missionario Basetti- Sani:

“Prima di tutto il Corano è la “rivelazione particolare” destinata ai pagani arabi, discendenti da Ismaele, ed a un mondo ancora privo della conoscenza del vero Dio di Abramo. E’ così l’inizio di una marcia orientata verso Dio; la scoperta del primo comandamento a popoli idolatri ed infantili… Ma è altresì la presentazione della figura di Cristo agli arabi pagani; e l’appello agli ebrei di mecca e Medina per il riconoscimento di Gesù come messia e della santità della Madonna“. (Basetti-Sani, 154-155)

E’ difficile, per non dire impossibile, l’accettazione da parte della Chiesa del suo profetismo.

 

 Noi  condividiamo la tesi che il profeta dell’Islam sia stato  uno spirito profondamente religioso, colpito dalla predicazione degli ebrei e dei cristiani eretici espulsi dai bizantini in Arabia,  predicazione che assimila e rielabora con creatività, adattando quanto ne riusciva a comprendere alla situazione del suo tempo, mescolandolo con le tradizioni e leggende arabe.

 

 

–         Infatti, poiché Muhammad riconosce i profeti precedenti, Mosé, Gesù, si pone un problema particolare: deve trovarsi in relazione con essi. Afferma il Corano che la venuta del Profeta era stata profetizzata da Mosé e dallo stesso Gesù, ma questo non è vero, infatti non è stato annunciato nella Torà, perché il profeta di cui parla Mosè è Gesù, come dichiarano gli Atti:

 

 

“Affinché il Signore vi mandi Gesù, il Messia, di cui Dio ha parlato fin dall’antichità per bocca dei suoi santi profeti. Mosè, infatti, disse: ‘Il Signore Dio vi susciterà in mezzo ai vostri fratelli un profeta come me; ascoltatelo in tutte le cose che vi dirà. E avverrà che chiunque non avrà ascoltato questo profeta, sarà estirpato di mezzo al popolo” (At 20, 22-23).

 

Non è stato annunciato nel Vangelo, perché il Consolatore (= Parakletos) di cui parla Giovanni è lo Spirito Santo, non il Lodato (Periklitos= Muhammad):

 

“E io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi” (Gv 14, 16-17).

 

  E’ chiaro qui che Giovanni parla dello Spirito Santo – la cui inabitazione e assistenza accompagneranno i credenti per sempre – non di un uomo!

 Allora nasce nell’Islam l’accusa ai cristiani di aver alterato le scritture, di averle falsificate. Ma è difficile accettare che un uomo, nato sei secoli dopo gli eventi grandiosi del cristianesimo possa conoscere i fatti e le scritture meglio dei contemporanei, degli apostoli che seguirono e ascoltarono Gesù.

 

–         Inoltre, il  messaggio del Profeta dovrebbe essere in sintonia con quello dei profeti suoi predecessori. Cosa che non risulta, in quanto il Corano non fa cenno all’ Alleanza che Dio stipula con Mosé, né alla divinità di Gesù di cui ci parlano le nostre scritture. Muhammad toglie il cuore della religione ebraica, l’Alleanza di Dio con il suo popolo, e nega recisamente la figliolanza di Gesù dal Padre, cuore del Nuovo Patto.

–          

–          

Il patto della Pre-eternità è un patto radicalmente metastorico, sul quale si basano i musulmani per affermare che la loro è la religio naturalis di tutti gli uomini. Ossia, si nasce musulmani ( “Ogni bambino nasce in purità di fede -Fitra -; sono poi i suoi genitori che lo fanno giudeo, cristiano, o zoroastriano” – Hadit)  e solo in seguito, per l’educazione erronea dell’ambiente si cambia religione. Comunque questo patto che antecede la storia è ben diverso dall’alleanza stipulata con Noé e con Mosé, alleanza calata nella storia, alleanza con questi uomini concreti, con il popolo eletto.  L’Antica Alleanza presuppone, da parte di Dio, una estrema condiscendenza, quella di porsi, di scendere allo stesso livello dell’uomo, conferendo così all’uomo una dignità ontologica sconosciuta nell’Islam.

 – Nega inoltre anche la morte di Gesù e la sua risurrezione ( su questo vi sono versetti contraddittori, come vedremo).

 

– Ma Dio non può contraddire se stesso, né vale argomentare dal fatto che Gesù ha cambiato la Legge. La trasformazione della legge, dalla Legge del taglione a quella dell’Amore del prossimo, oppure, l’abrogazione della poligamia, sono orientate nel senso di una elevazione della Legge, di un compimento spirituale. Dio non può contraddirsi, ad es. non può ora negare la poligamia e poi reintrodurla ( con notevoli facilitazioni per il Profeta!).

 

 

Un parola di Dio che è troppo acquiescente ai desideri del Profeta. La storia di Zàinab, la bellissima moglie del suo amato figlio adottivo Zeid ben Haritsa, è molto significativa al proposito. Avendola il Profeta scorta in vesti discinte, se ne invaghì. Saputolo Zeib, il figlio adottivo, cadde in prostrazione, indeciso sul comportamento da seguire. Scelse di fare di necessità virtù e mostrò di provare un’improvvisa avversione verso la moglie e la ripudiò dopo alcuni giorni. Muhammad esitava a impalmarla, per timore di uno scandalo, ma Dio gli comunicò il suo assenso:

 

“Quando Zàib ebbe regolato con lei ogni cosa, te la facemmo sposare, affinché non sia peccato per i credenti sposare le mogli (divorziate) dei propri figli adottivi, quando questi abbiano regolato ogni cosa con esse” (33,37).

 

  La lettura delle sure manifesta una rispondenza precisa -troppa?- a situazioni contingenti, a eventi anche personali e perfino non edificanti della vita del Profeta. Per cui può ragionevolmente sorgere un dubbio che Dio abbia avuto così a cuore i problemi dei ripetuti innamoramenti del Profeta!

 

  Analogamente, la storia  dalla giovane sposa ‘Aicha che, per ritrovare una collana perduta resta sola nel deserto e viene salvata da un giovane timorato, mostra il Profeta in grave imbarazzo a proposito delle maldicenze scaturite dalla situazione. ‘Aicha, risentita, torna a casa dai suoi genitori e solo dopo molto tempo il Profeta riceve una nuova rivelazione che la scagiona.

 

 

 

A proposito della famiglia del Profeta dell’Islam, delle sue molte mogli, sposate secondo l’uso antico anche per suggellare alleanze strategiche con le tribù conquistate, sarà bene non insistere nella polemica morale per i seguenti  motivi:

 

v Allora la poligamia era largamente diffusa e la condizione della donna estremamente subordinata all’uomo: era un uso socialmente consolidato;

v si rifletta anche sulla morte in battaglia di tanti soldati, per cui le loro vedove sarebbero rimaste senza alcuna tutela sociale, specialmente i loro figli;

v nella Bibbia i patriarchi erano poligami, per il bisogno di assicurarsi una discendenza, anche per l’elevata mortalità infantile;

v infine, basterà citare il ben noto caso del re Salomone, con il numero impressionante di mogli e concubine…;

v  il modello coranico dei profeti si riferisce con particolare enfasi all’Antico Testamento.

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MAOMETTO – VITA E DOTTRINA (4)

 

– La concezione sociale –

 

  E’ nota la concezione solidaristica e personalistica testimoniata dal Vangelo di Gesù ed espressa da S. Paolo: “Non ci sono più né schiavi, né liberi, né giudei né greci, né uomo né donna”. Nasce il concetto di “persona”, fonte di diritti inalienabili. Nell’ Islam l’individuo è essenzialmente subordinato alla comunità, la Umma, vale in quanto inserito in essa.

 

  Dalla concezione teologica del patto della pre-eternità consegue la nota tesi asserente la nascita d’ogni uomo sotto il segno dell’Islam.

 

Potrebbe essere una convinzione teorica, un postulato della loro religione senza particolari conseguenze civili, ma non è così. Contrariamente al versetto coranico “Non può esservi costrizione nella fede” – peraltro largamente disatteso nella prassi delle infinite guerre di religione scatenate nel corso dei secoli dai musulmani – c’è una conseguenza sul piano sociale d’estrema gravità, di cui hanno coscienza quanti vivono nei paesi a maggioranza islamica: la società si divide in quattro grandi categorie religiose, con pesanti riflessi sociali.

 

Leggendo il testo sacro, appare evidente la seguente suddivisione degli uomini tra:

 

v I musliman = i musulmani, veri credenti, che godono la pienezza dei diritti civili e possono accedere alle cariche pubbliche politiche, civili, militari; essi appartengono alla Umma, alla Comunità dei credenti, da cui ricevono ogni valore e diritto. L’uomo non è considerato tanto in se stesso, nella sua natura umana – nel cristianesimo e nell’ebraismo come “immagine di Dio” – ma come parte di una comunità e di una fratellanza di fede.

 

v I Dhimmi = i protetti, ossia i seguaci delle quattro religioni monoteiste: cristiani, ebrei, zoroastriani, mandei. Sono appartenenti di serie B, devono pagare il tributo – un tempo, una decima sui propri beni e attività -, sono tollerati, ma non possono fare proseliti, se non fra loro o tra i miscredenti. Sono loro vietate le diverse carriere politiche, militari, giuridiche, oppure hanno un limitato accesso alle stesse, con scarsa possibilità d’incidere sulla vita della società.

 

v  I Kafir = i miscredenti, sono coloro che credono in altre fedi, politeisti, oppure non ne hanno nessuna, ossia gli atei.

 

v I Murtadd = gli apostati, gli eretici islamici, coloro che si sono convertiti ad altra fede o sono diventati atei.

 

 

Kafir e Murtadd hanno solo una scelta, o “l’Islam o la spada”, o conversione o morte.

 

Questo sfondo culturale permette di comprendere come le libertà civili, l’ uguaglianza, la democrazia non siano fiorite nel mondo islamico, ma siano frutto della distinzione voluta da Gesù tra “ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio”, ossia tra la sfera politica e quella religiosa.

 

 Ovviamente, questa suddivisione si è tradotta sul piano sociale diversamente, secondo l’epoca storica e il contesto civile delle varie nazioni, ma resta lo sfondo culturale di tanti musulmani praticanti.

 

  L’altra conseguenza della dottrina del Patto originale consiste nel divieto coranico di sposare un marito non musulmano. Questa regola, osservata ancor oggi nelle nazioni islamiche, ha prodotto -insieme alle diverse forme di persecuzione attuate – la progressiva estinzione “biologica” dei cristiani nei territori conquistati dall’Islam.

 

Infatti, è l’uomo il capofamiglia patriarcale, cui compete di diritto la trasmissione della fede originaria, pertanto con questo meccanismo – ossia vietando alle donne musulmane di sposare un cristiano, un ebreo ecc… – si consegna automaticamente la discendenza  al proprio credo, impedendo di fatto la trasmissione per via familiare di altre religioni. 

 

Le due concezioni, esposte sopra in modo sintetico, illuminano il retroterra culturale di molti immigrati, che sentono la propria dignità di credenti misconosciuta dalle leggi europee e temono che la possibilità di matrimoni misti implichi un indebolimento della loro identità religiosa.

Il disagio degli immigrati ha anche questa componente culturale, che genera ostilità verso il mondo che li accoglie, indipendentemente dalla condizione sociale in cui sono riusciti ad inserirsi e vivono.

 

 

 Per quanto riguarda il matrimonio, è nota la crisi vissuta da tante brave ragazze musulmane che temono di offendere il comandamento di Dio sposando un cattolico e scelgono perfino di convivere piuttosto che sposarsi con l’uomo amato ma di altra fede religiosa, nell’attesa di una possibile, futura conversione…

 

A proposito di conversioni all’Islam, tanto sbandierata, si tenga presente che il divieto coranico può essere  facilmente eluso mediante una dichiarazione ambigua e formale – sostanzialmente falsa nell’intenzione dello sposo, come ben sanno gli imam -.

 

E’ sufficiente firmare, di fronte a due testimoni, la formula: “Esiste un solo Dio e Maometto è il suo profeta”, per essere considerati musulmani e apostati dalla fede cristiana ( ed esserlo sul serio purtroppo, anche se alcuni  sottovalutano il gesto !).

 

E’ il prezzo da pagare, il gesto da compiere e che di fatto  compiono molti uomini, anche in Italia, per sposare la donna musulmana di cui si sono invaghiti. Per cui molte conversioni all’islam non hanno un vero fondamento religioso, ma solo di convenienza sociale.

 

Il rapporto con i cristiani-dhimmi (protetti) –

 

  Il primo rapporto storico risale alla fuga di un gruppo di musulmani verso l’Abissinia, dietro consiglio del Profeta. essi furono accolti cordialmente dal Negus, cristiano, che accordò loro il diritto d’asilo.

  Il secondo riguarda il patto concluso con la comunità cristiana nestoriana di una città dello Yemen, Najràn ( i Nestoriani professavano l’unione in Gesù di due persone complete, umana e divina). Dato che l’Islàm si stava espandendo, un’ambasceria di notabili si recò dal Profeta per cercare un’intesa. Muhammad li rimproverò aspramente di professare la divinità di Gesù e, alle loro rimostranze, li esortò a convertirsi all’Islàm o di sottoporsi all’ “ordalìa di esecrazione”, cerimonia in cui si invocava la maledizione di Dio sui mentitori.

 Questo episodio è molto importante, perché rappresenterebbe, per i musulmani, la sconfitta ideale dei cristiani nestoriani i quali si rifiutarono di sottoporsi al processo e firmarono il patto di sottomissione – dietro pagamento di una tassa e di alcune prestazioni – nei termini seguenti:

 

“La protezione di Dio e la garanzia del Profeta si estendono sul Najràn. Nessun vescovo sarà allontanato dal suo seggio episcopale, né alcun monaco dal suo monastero, né alcun prete dal suo presbiterio. I Najiriti non saranno assoggettati alla decima. Nessuna truppa calpesterà il loro suolo”.

 

 Possiamo confrontare questo evento con la richiesta dell’ordalìa da parte di S. Francesco alla corte del Sultano. Allora sarà il Sultano a rifiutarsi!

 

  Tuttavia, oggi i riformisti cercano d’interpretare il Patto del Najràn nel senso di un’estensione della pienezza dei diritti civili alle minoranze religiose in seno alle nazioni di tradizione islamica.

 

 

Islam: solo sottomissione?

 

 

 

 

 C’è da sottolineare che, se l’ Islam è la religione della sottomissione a Dio, tuttavia  lascia spazio alla dimensione dell’amore. Nel Corano Allah  viene chiamato “amante” e “amico dei fedeli”, gli attributi fondamentali sono “Il misericordioso, il compassionevole. E’ scritto che “Dio ama i penitenti e i puri” (2,222), “Dio ama quelli che operano il bene” (3,128). Si parla del wali, “dell’amico di Dio”, “No! Per gli amici di Dio nessun timore, nessuna tristezza” (10,62).

 

” Ma quelli che credono e operano il bene sono il fiore del creato, e avranno, presso il loro Signore, in ricompensa, i Giardini di Eden alle cui ombre scorrono i fiumi, dove rimarranno sempre, in eterno. Dio è soddisfatto di loro e loro sono soddisfatti di Dio: e questo per chi teme il suo Signore” (98, 7-8)…

 

 

“Dì: ‘Se veramente amate Dio, seguite me e Dio v’amerà e vi perdonerà i vostri peccati, ché Dio è indulgente, pietoso” (3,31).

 

 

C’è nel Corano questo delicato filo che sottolinea la possibilità dell’ amore verso Dio, di un rapporto tra il Creatore e la creatura di amicizia e amore. Tuttavia, l’ortodossia ha negato questa dimensione, l’ha ristretta, evidenziando solo l’obbedienza e

 

 perseguitando pesantemente il sufismo, corrente mistica che ha vissuto la dimensione dell’amore.

 

 Al-Buhari, invece, testimonia un’affermazione del profeta:

” Tre cose deve l’uomo possedere per provare la dolcezza della fede: amore ad Allah e al suo profeta più che a ogni altra cosa, amore agli uomini soltanto per amore di Allah”.

 

  L’ autocoscienza di Muhammad è chiara: egli è solo un uomo che non conosce e non possiede i misteri di Dio, non ha poteri particolari, nemmeno d’intercessione verso i suoi, è però un grande profeta, il “sigillo dei profeti”. Attraverso di lui il Signore fa scendere sull’uomo per l’ultima volta la medesima rivelazione. “Dopo di me nessun profeta”, disse Muhammad.

 

  Poiché riconosce i profeti precedenti, Mosé, Gesù, si pone un problema particolare: deve porsi in relazione con essi riguardo al contenuto dottrinario e, secondo l’islam, deve essere stato annunziato. Afferma il Corano che la venuta del Profeta era stata profetizzata da Mosé e dallo stesso Gesù… Rifletteremo in seguito su queste affermazioni.

 

La fine del Profeta dell’Islam

 

– Dopo una vita ricca di lotte e coronata dal successo, Muhammad termina i suoi giorni fra le braccia di Aiscia – la sposa più giovane e amata – oppresso dalla malattia: “Non v’è forza né soccorso che in Dio! Ah! la morte ha i suoi orrori!”. Pronunciò le ultime parole: “Allah! Si… con il compagno più eccelso…” e spirò. Riportiamo brani del suo ultimo discorso, pronunciato dopo l’estremo pellegrinaggio:

 

 

        L’ ultimo discorso:

 

” O Uomini! udite le mie parole, perché, non so se potrò incontrarvi qui il prossimo anno. Abbiate sacri i vostri beni e la vostra vita finché incontrerete il Signore… Chi ha beni in deposito renda il suo deposito fedelmente…

 

Satana ha perduto ormai ogni speranza d’esser più adorato in questo vostro paese… Voi avete diritti verso le vostre donne, ma anche le vostre donne hanno dei diritti su di voi. Trattatele bene, esse sono il vostro aiuto… Meditate bene, o uomini, le mie parole.

 

Io ho compiuto la mia missione e vi lascio una guida, se vi atterrete alla quale, non potrete sbagliare: il Libro di Dio e l’Esempio del suo Inviato”.

 

Articolo prelevato da:

 

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MAOMETTO – VITA E DOTTRINA (3)

 

 Nella predicazione del Profeta dell’Islam, occupa un posto centrale la prospettiva finale del giudizio divino:

                         

                                                   La sura della vita eterna

 

“Nel nome di Dio, misericordioso e compassionevole.

1 Quando sopravverrà l’ora che deve sopravvenire,

2 Il cui sopravvenire nessun’ anima può smentire,

3 Che abbasserà i cattivi ed esalterà i buoni,

4 Quando verrà scossa la terra violentemente,

5 E verranno stritolati i monti, completamente,

6 Sì che diverranno tenue polvere dispersa,

7 E voi sarete divisi in tre parti,

8 Allora vi saranno i compagni della destra, -ho (quanto felici saranno), i compagni della destra!

9 E i compagni della sinistra, – oh (quanto infelici saranno), i compagni della sinistra!

10 E i più avanzati, nel fare il bene sulla terra saranno i più avanzati anche in paradiso.

11 Questi saranno gli approssimati a Dio,

12 Nei giardini delle delizie.

13 Riposeranno sopra letti, ornati di oro e di gemme…

20 Essi desineranno con frutta de la specie che essi sceglieranno a loro piacere,

e con carne di volatili a loro desiderio.

 

 

22 Saranno pure, ivi, Hurì, dai grandi occhi, somiglianti a perle nascoste nel guscio,

23 Aricompensa di quanto avranno operato.

15 Non udiranno se non una parola: ‘pace! pace!’.

26 E quanto ai compagni della destra, – ho i compagni della destra!

27 Essi soggiorneranno fra loti, privi di spine,

28 E banani con gran copia di frutti,

29 Inun’ombra estesa,

30 Presso un’acqua corrente…

34 E noi, invero, producemmo le Hurì, con una creazione speciale;

35 Le facemmo, infatti, eternamente vergini,

36 Affezionate e coetanee dei loro sposi.

40 Quanto ai compagni della sinistra, – oh, i compagni della sinistra!

41 Essi saranno in un vento bruciante e in acqua bollente,

42 E in un’ombra di fumo nerissimo…

51 Allora voi, o traviati, accusanti di menzogna gli inviati di Dio,

52 Mangerete dell’albero di zaqqùm,

53 Con cui riempirete i vostri ventri…

 

  Le immagini sono desunte dalla vita quotidiana di un beduino e sono molto materiali, ma si ricordi che i musulmani più devoti interpretano i godimenti del paradiso in modo unicamente spirituale. E’ anche importante la visione di Dio, che si mostra ai suoi eletti da lontano, il venerdì.

 

La condizione femminile

 

  La donna, ai tempi di allora, viveva in una condizione di assoluta precarietà, molto diffuso era anche l’infanticidio femminile, inoltre l’uomo poteva prendere e rimandare le mogli a piacimento.

 

 

 

 Nell’Islam delle origini, contrariamente a quanto si crede, la condizione femminile si elevò notevolmente: venne vietato l’infanticidio, la donna ebbe tutelata la sua dote personale nel matrimonio, all’uomo si chiede di usare un trattamento di riguardo verso di lei, le è affidata l’educazione dei figli piccoli…

 

  La poligamia viene permessa, è vero, ma allora c’erano tante vedove di guerra che sarebbero state abbandonate se un’altro uomo non le avesse prese con se. Inoltre, anche le schiave dovevano ricevere un trattamento umano.

 

E’ però certo che l’esempio del profeta, con le sue numerose mogli, incoraggiò poi nei secoli la poligamia e l’abuso. A questo si aggiunge l’egoismo maschile, il potere e la ricchezza, per cui oggi l’islam si deve liberare da un retaggio che relega la donna ad un ruolo marginale e subordinato.

 

Sulla concezione della donna e sulla poligamia, fanno testo i versetti:

 

 

 

 

“Se temete di non essere equi con gli orfani, sposate allora di fra le donne che vi piacciono, due o tre o quattro, e se temete di non esser giusti con loro, una sola, o le ancelle in vostro possesso; questo sarà più atto a non farvi deviare. date spontaneamente alle donne la dote; e se loro piace farvene partecipi godetevela pure in pace e tranquillità” ( 4,2-4).

 

 

 

 

 

Se l’uomo e la donna sono uguali di fronte a Dio e verranno giudicati per le loro opere, indipendentemente dal sesso, tuttavia l’uomo gode di una superiorità che si manifesta in una gamma di prerogative e di diritti, specie matrimoniali. Recita il Corano:

 

“Gli uomini sono superiori alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle; le donne buone sono dunque devote a Dio e sollecite della propria castità, così come Dio è stato sollecito di loro” (4, 34).

 

Oggi, dato che la poligamia va scomparendo per via delle costituzioni moderne che diversi Stati islamici hanno adottato, i giuristi sottolineano il versetto “se temete di non esser giusti con loro, una sola”, evidenziando l’importanza e l’unicità dell’amore di coppia.

 

 

 

Il tema della guerra

 

 

 

 

Gesù ci offre una religione della pace e accetta perfino di essere colpito e ucciso, per testimoniare l’amore di Dio. Muhammad predica una religione belligerante:

 

 

La Guerra Santa – Il Gjihad

 

” 190 –Combattete sulla via di Dio coloro che vi combattono ma non oltrepassate i limiti, ché Dio non ama gli eccessivi. – 191 Uccidete dunque chi vi combatte dovunque li troviate e scacciateli di dove hanno scacciato voi, ché lo scandalo è peggio dell’uccidere; ma non combatteteli presso il Sacro Tempio, a meno che non siano essi ad attaccarvi; in tal caso uccideteli.. Tale è la ricompensa dei Negatori.

– 192 Se però essi sospendono la battaglia, Iddio è indulgente e misericorde.

 

La Guerra Santa–Gihad- è limitata da due condizioni:

 

1) “non oltrepassare i limiti”

2) combattete solo “coloro che vi combattono”.

 

I commentatori apologeti modernisti sottolineano che la guerra Santa di Muhammad fu sempre una giusta guerra difensiva.  Da notare che non esiste nell’Islam la teorizzazione del suicidio dei “martiri” – come oggi viene praticato – implicante l’uccisione di persone innocenti-

 

 

 

” 29 Combattete coloro che non credono in Dio e nel Giorno Estremo… e coloro fra quelli cui fu data la Scrittura, che non s’attengono alla religione della Verità. Combatteteli finché non paghino il tributo uno per uno, umiliati.

 

 

 

 

  Come si evince dal testo, i cristiani sono tenuti a pagare la gizia, un tributo mediante il quale riconoscono l’Autorità islamica e diventano Dimmi, ossia protetti e vivono una condizione di subordinazione sociale  essendo interdetti dalla cariche pubbliche, da determinate carriere statali..

Sono esclusi dal tributo i poveri, i monaci poveri, gli schiavi, le donne e i bambini… Anche i pagani, come gli induisti, sono stati ammessi a pagare la gizia per evitare che dovessero affrontare l’alternativa “l’ Islam o la spada”.

 

  Dunque, l’Islam vive in condizione di belligeranza con tutti coloro che non credono. Storicamente, le invasioni successive verso il mondo cristiano dimostrano che essi intendevano proprio guerra santa, di conquista, di spada.

 

 

 

 

Ma che cos’è Il Jihad ?

 

  1. Interpretazione liberale moderna: rifiuto d’identificare il Jihad con la guerra, basandosi sull’esempio di Abele, credendo di ottenere il perdono dei peccati scegliendo la via del rifiuto di usare violenza. Questa interpretazione è del tutto minoritaria!

 

     2.    La tradizione consolidata e diffusa tende a distinguere due forme:

 

v Jihad maggiore ( interiore), ossia lo sforzo di seguire la via del bene, di purificarsi, di controllare le passioni; inoltre è il tentativo, la tensione, lo “sforzo” che il fedele compie per far affermare l’Islam: cercando di adempiere ai precetti regolamentari, convertendo gli infedeli con l’esempio o con l’eloquenza.

v Jihad minore    (esteriore), è lo sforzo bellico di una guerra legale. La guerra dovrebbe essere condotta nel rispetto di certe regole ( non uccidere i non combattenti, divieto delle mutilazioni, rispetto della proprietà e della ricchezza) secondo il Codice di Abu Bakr 632.

 

  Oggi, com’è purtroppo noto,   si è imposta l’interpretazione  del Jihad, non tanto come sforzo spirituale sulla via del bene, ma come  “guerra per convertire gli infedeli”. ossia, il tentativo armato di estendere la “Casa della Pace” Dar- al-Islam,  sulla “Casa della Guerra” Dar al-Arb, ossia sul mondo degli infedeli.

 

Tuttavia i musulmani equilibrati, autenticamente religiosi, ricordano il divieto assoluto di uccidere innocenti, come recita il Corano:

 

 

 

« Chiunque uccida una persona – a meno che essa non stia per uccidere una persona o per creare disordine sulla terra – sarà come se uccidesse l’intera umanità; e chiunque salvi una vita, sarà come se avrà salvato la vita di tutta l’umanità. » (Corano (5:32))

 

 

Insegnamento prelevato da:

 

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I Grandi Fondatori (2)

 

MAOMETTO – VITA E DOTTRINA –

 

  Se vogliamo riflettere sul particolare ruolo che i fondatori delle religioni hanno avuto nella storia – diversamente da quello svolto dai filosofi – possiamo esprimere nelle seguenti caratteristiche la loro singolarità:

 

– alla radice della loro predicazione si scopre un’esperienza “unica” del   

  trascendente: una visione, un rapporto con Dio, una rivelazione, l’illuminazione;

– il loro messaggio riveste i connotati della radicalità, dell’impegno, dell’urgenza;

– si circondano di un gruppo di discepoli, asceti, compagni;

– vivono la propria missione con un impegno di vita totalizzante;

– costituiscono per i loro seguaci un esempio di vita unico,  esemplare;

– la verità che annunciano è l’unica via, sentiero, strada, metodo verso la pienezza.

 

  Ne consegue che non possiamo appiattire nell’ insignificanza la loro pretesa di unicità! occorre dunque rifarci alla loro vita e al messaggio originario. Altro, semmai, è il discorso del dialogo, che è necessario ma nella chiarezza delle rispettive posizioni e credenze.

 

  Gli Inizi della Missione di Muhammad

 

  Nacque alla Mecca, in Arabia, nel 570 d.C., da Abdallah e Amina. Divenuto presto orfano, senza mezzi, Mohamed, affidato alla cura dello zio Zubair, esercitò vari mestieri. Infine divenne factotum della vedova  Khadija, che  sposò, realizzando un’unione esemplare. la moglie lo comprese e incoraggiò, spronandolo sulla via del bene:

 

“Quando ero povero, mi ha arricchito; quando tutti mi abbandonavano, mi ha confortato; quando mi si trattava come un mentitore, ha creduto in me“.

 

 

 Viaggiò lungamente. Rimase colpito dalla moltitudine di idoli che si veneravano alla Ka’ba e un giorno venne scelto per la cerimonia della ristrutturazione del tempio e la posa della Pietra Nera ( un aerolito? Secondo la tradizione unico oggetto del paradiso  esistente, portato in terra a Ismaele dall’Arcangelo Gabriele e annerito per i peccati degli uomini). Dopo anni di attività commerciale, il sentimento religioso prese spazio nel suo cuore ed il pensiero del monoteismo divenne dominante.

 

 Si ritirava spesso nel deserto, secondo una consuetudine del suo popolo e come gli eremiti cristiani, sul monte Hira. Era rimasto colpito dal comportamento di un saggio, Zeid ben’ Amr, che disprezzava il politeismo dei conterranei e diceva:

 

“O Dio, se sapessi quale forma di adorazione preferisci, la praticherei, ma non la conosco”.

 

Mohamed conobbe il cristianesimo dagli schiavi alla Mecca e dai monaci siriani, dal cugino di Kadija, che aveva tradotto in arabo pagine degli Evangeli. Nella sua solitudine, una notte gli inizi della rivelazione divina, secondo il Corano:

 

” In verità lo rivelammo nella Notte del Destino, più bella di mille mesi. Vi scendono gli angeli e lo Spirito (Gabriele), col permesso di Dio, a fissare ogni cosa” (97).

” Il vostro compagno non erra, non s’inganna e di suo impulso non parla. No, ch’è rivelazione rivelata, appresagli da un Potente di forze, sagace, librantesi alto sul sublime orizzonte! poi discese pèndulo nell’aria, s’avvicinò a due archi e meno ancora e rivelò al servo Suo quel che rivelò. E non smentì la mente quel che vide.

 

  Nella notte gli appare un essere misterioso che gli mostra una stoffa di seta e gl’impone di leggere. Al suo rifiuto, in quanto analfabeta, l’essere tenta di soffocarlo per due volte, finché non riesce a leggere, lui analfabeta, e sente il conforto della luce divina.

 

Si discute se il Corano (= Recitazione) sia stato rivelato tutto in una sola volta e poi riportato in cielo e rivelato gradualmente in seguito, o se sia stato fatto scendere dal  cielo più alto a quello inferiore a disposizione di Gabriele. E’ certo che Muhammad lo ricevesse a brani:

“E con la Veritàl’ abbiam fatto discender sul mondo e con la Veritàè disceso, e te inviammo soltanto come annunciatore e mònito; e il Corano lo dividemmo in parti a che tu lo recitassi agli uomini lentamente, lo rivelammo a brani” (42, 105-106).

 

Le prime parole che Mohamed percepì come rivelate da Dio, furono:

 

“Leggi, in nome del tuo Signore, che ha  creato l’uomo da un grumo di sangue! Proclama! Ché il tuo Signore è il Generosissimo (96).

Oppure, alcuni dicono:

“O Avvolto dal mantello! Sorgi e predica! E il tuo Signore glorifica! E le tue vasti purifica! Dall’ abominio separati! (74, 1-7).

 

  Dunque: la fede in un unico Dio, creatore degli uomini, la necessità di una vita spirituale e distaccarsi dall’idolatria, poi il giudizio universale, la generosità verso il prossimo. Ma l’Islam è innanzitutto sottomissione a Dio, alla sua volontà, ai suoi imperscrutabili decreti.

 

  Alla critica degli ebrei della Mecca, che credevano che lo Spirito di Dio non si manifestasse fuori della Palestina e comunque la “profezia” ormai chiusa, ed inoltre reputavano Muhammad un “impuro arabo” discendente dalla schiava Agar e da Ismaele, il Corano risponde:

 

 “Dicono, i Giudei: “La mano di Dio è ora chiusa”: Siano le loro mani chiuse e incatenate, e siano maledetti per quello che hanno detto!

 

Anzi ambe le mani di Dio sono aperte e ampie, ed egli largisce grazie a chi vuole” (5, 69).

 

  La tradizione narra che Muhammad, quando riceveva le rivelazioni, tremava tutto e sudava e chiedeva di essere ricoperto da un manto; inoltre,  “gemeva come una cammella che sta per partorire”. Il Corano (al-Qur’àn) contiene secondo i musulmani, la rivelazione diretta e dettata letteralmente da Dio al Profeta. Tutto nel Corano è perfetto, armonioso, in cui tutto si tiene, perfino le lettere che accompagnano  l’inizio delle sure!

 

Esiste in cielo la Madre del Corano ossia la copia e originaria esistente ab aeterno ( il prototipo celeste del Corano)) nella sostanza divina, coeterna a Dio come i suoi attributi… per cui quanto da Dio rivelato è opera solo divina, in cui il Profeta non avrebbe parte alcuna, se non passiva, di colui che riceve il messaggio celeste.

 

 Ecco perché perfino per toccare il Corano occorre essere in stato di purità rituale e i non credenti non lo dovrebbero nemmeno leggere, inoltre esso è stato dettato in “pura lingua araba” e dovrebbe essere memorizzato in questa lingua. Di per sé non potrebbe essere tradotto, anche se oggi di fatto lo è, in altre lingue.

 

“E già prima di te inviammo Messaggeri e demmo loro donne e progenie, però mai nessun Messaggero poté produrre un segno se non col permesso di Dio; c’è un Libro Divino a ogni fine d’un Era, e Iddio cancella quel che vuole e quel che vuole conferma: a Lui d’accanto è la Madre del Libro” (13, 38-39).

 

 

 

Questa concezione, la memorizzazione obbligatoria da piccoli del testo coranico o di parti significative, e l’uso obbligatorio del testo come strumento di lettura nelle scuole, spiegano -in parte – la difficoltà del musulmano ad abbandonare la sua fede, in quanto il corano è stato assimilato profondamente e fissato nella sua memoria, con il carico non trascurabile di minacce di castighi eterni a chi divenisse apostata.

 

Il credo musulmano

Da un hadìth : “Il Profeta ha detto: l’uomo ha fede soltanto se crede in quattro cose:

 

1) Egli deve testimoniare che non c’è nessun’ altra divinità all’infuori di Dio.

2) Deve accettare che io sono l’inviato di Dio, incaricato di insegnare la verità.

3) Deve credere nella resurrezione dopo la morte.

4) Deve credere nel decreto divino per il bene ed il male, il dolce e l’amaro”.

  Questa fede essenziale “in Dio, nei suoi angeli, nei suoi libri, nei suoi profeti” (2/285) si manifesta poi nella pratica dei cinque pilastri dell’Islam:

 

1) La professione di fede: “Non c’è dio se non Allah e Muhammad è l’inviato di

    Allah”.

2) La preghiera cinque volte al giorno.

3) L’elemosina della decima ai poveri.

4) Il digiuno di Ramadàn.

5) Il pellegrinaggio alla Mecca.

 

  Il Corano sottolinea che il Signore si fa incontro all’uomo anche nella storia, con una lunga serie di messaggeri o profeti, incaricati di comunicarela Suavolontà e di risvegliare e mantenere pura la fede nei cuori.

 La rivelazione divina avviene numerose volte, anzi “discende” sugli uomini ed è sempre la medesima, ma gli uomini poi corrompono il messaggio, si allontanano dalla verità che consiste semplicemente nell’ adorazione dell’Unico Dio.

 

Dobbiamo distinguere due periodi di predicazione del Profeta:

il periodo meccano, con l’annuncio dell’ unicità di Dio e la minaccia del giudizio universale per i politeisti e la condanna verso i ricchi che praticano l’usura e opprimono i poveri.

Il periodo medinese invece verte sulla costituzione della comunità islamica, ormai diversa da quella ebraica e cristiana -la preghiera si compie rivolta alla mecca e non più a Gerusalemme -, sulla necessità della guerra santa, sulle leggi, i trattati, l’organizzazione civile.

 –  A  proposito di Abramo, ricordo che  papa Woityla lo presenta  come ” uno stesso modello di fede in Dio, di sottomissione alla sua volontà e di fiducia alla sua bontà” per cristiani e musulmani.

 

  Infattila Scrittura  ebraica insegna che Dio apparve ad Abramo e gli disse:

“Io sono Dio onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti renderò numeroso molto, molto”. (Gn 17, 1-2). E quando Sara chiese l’allontanamento del figlio della schiava, Dio promise ad Abramo: “…Io farò diventare una grande nazione anche il figlio  della schiava, perché è tua prole”. (Gn 21,13)

 

 

E ad Agar piangente e disperata perché abbandonata nel deserto, l’angelo disse:

 ” Che hai Agar? Non temere, perché Dio ha udito  la voce del fanciullo là dove si trova. Alzati, prendi il fanciullo là dove si trova, perché io ne farò una grande nazione… E Dio fu con il fanciullo, che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco. ( Gn 21, 17-20).

 

  L’Islam si riconosce erede della benedizione data da Dio ad Ismaele :

 

 “Anche riguardo ad Ismaele io ti ho esaudito: ecco, io lo benedico e lo renderò fecondo e molto, molto numeroso: dodici principi egli genererà dopo di lui e di lui farò una grande nazione” ( Gn 17, 20), e questo  accomuna anche ebrei e cristiani come partecipi tutti del progetto di salvezza divino.

 

  Il Profeta è venuto solo per il popolo arabo. Egli sostiene di essere uno dei  25 profeti che si sono succeduti nella storia, di cui i più importanti hanno portato un “Libro”. Tra gli “inviati” si distinguono: Abramo, Mosé, che ha portatola Turàh, Gesù che ha portato al-Ingìl (il Vangelo): Muhammad è però il rasùl (inviato) definitivo, il “sigillo dei profeti”(S. 33,40). La parola ultima e conclusiva di Dio all’umanità. Dopo di lui nessun profeta.

 

“Certo, abbiamo fatto scendere su di te una rivelazione, come l’avevamo fatta scendere su Noè e sui profeti che dopo di lui erano apparsi. Abbiamo fatto scendere la rivelazione ad Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, alle tribù (d’Israele), a Gesù, a Giobbe, a Giona, ad Aronne, a Salomone; e a Davide abbiamo dato il salterio”(4,163).

 

Questo Corano non è stato inventato da nessun altro che da Allah. E’ conferma di messaggi anteriori, spiegazione dettagliata della Scrittura inviata dal Signore dei mondi, in cui non c’è ombra di dubbio” (10,37).

 

I profeti che si sono susseguiti , solo come “guide e ammonitori”, ricordano all’umanità il patto di “a làstu”, avvenuto alle origini:

 

“il Signore trasse dai lombi dei figli di Adamo tutti i loro discendenti e li fece testimoniare contro sé stessi: ‘ Non sono io (a làstu) chiese il Signore?’. Ed essi risposero: ‘Sì, certamente!” E questo facemmo perché non aveste poi a dire, nel giorno della resurrezione: ‘Noi non sapevamo tutto questo” (7, 172).

 

“(E ricorda) quando Iddio trasse dalle spine dorsali dei Figli di Adamo i loro discendenti e li fece attestare

nei riguardi di sé stessi.

“Non sono il Vostro Signore?”.

“Sì, l’attestiamo” risposero.

Questo perché non possiate dire il giorno della Resurrezione:

“Noi non ne sapevamo nulla”Sura 7:171-172-173.

 

  Viene descritto Il grande patto della “pre-eternità” ( mithaq) stipulato da Dio con la stirpe di Adamo, che impegna tutti gli uomini e ciascun uomo a riconoscere Iddio, rinunziando ad ogni idolatria, ed a rendergli un culto di sincera adorazione.

 

 

 

Ciò significa che nel cuore dell’uomo, nell’interiorità della coscienza c’è una predisposizione naturale  a riconoscere Dio, una sorta di “religione naturale” (fitra) che orienta l’essere umano verso il  suo Creatore e rende inescusabile l’ateismo.

 

Insegnamento prelevato da:

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